Una veduta di Sirmione

di Gloria Valdonio

Chissà se gli abitanti del lago di Garda hanno idea che quei venti chilometri scarsi che vanno da Desenzano a Sirmione sono stati per oltre un secolo il rifugio dei “maledetti” catari provenienti dall’Occitania. La più grande eresia del XIII secolo dilagava infatti non solo tra Toulouse e Carcassonne, ma anche nella pianura padana, e in particolare sulle sponde del Benaco, dove gli eretici trovarono una popolazione tollerante e grande abbondanza di pesce. I catari (dal greco “puri”) praticavano infatti una rigida dieta vegetariana, ma sorprendentemente si cibavano di pesce che consideravano una creatura di mezzo, a metà fra il regno animale e vegetale, che si riproduceva senza coito, proprio come le piante.

Ma che cosa c’è alla base di questo divieto alimentare? Generare la vita, secondo il loro codice morale, significava portare nel mondo nuovi schiavi di Satana, al punto che veniva condannato anche l’atto sessuale fra coniugi. In altre parole, questi eretici cristiani pensavano che il mondo materiale appartenesse al rex mundi, ovvero Satana, che aveva creato il sole, la terra, l’aria, l’uomo e ogni cosa, mentre a Dio apparteneva la creazione di ogni cosa invisibile e immortale, come l’anima.  Di conseguenza il mondo materiale era per sua natura diabolico. «Convinti che lo spirito fosse prigioniero della materia e di un mondo diabolico, i catari si astenevano dal cibarsi di tutto ciò che fosse frutto di riproduzione, per impedire la prosecuzione della realtà materiale. Quindi non mangiavano animali – al cui interno lo spirito prigioniero compiva un lungo processo di reincarnazione e purificazione – e neppure i loro prodotti derivati, come latticini o uova», spiega Armando Bellelli, affermato storico di Desenzano, da anni impegnato nella ricostruzione di una “mappa catara” del lago di Garda.

In termini teologici i catari professavano quindi una fede di tipo gnostico, nella quale era dato grande risalto alla compresenza nel mondo di due opposti principi, quello del bene e quello del male, un errore teologico antico che rimanda al manicheismo. Come si vede, ce n’era più che abbastanza per la Chiesa di Roma, che si sentiva particolarmente minacciata da questa setta, che aveva numerosi proseliti tra Sirmione e Desenzano. Quest’ultima poi era anche sede di un’importante chiesa catara in perenne competizione teologica con la chiesa di Concorezzo, che praticava un dualismo più moderato. Roma fece quindi terra bruciata di questa eresia nell’arco di qualche decennio, prima nel sud della Francia con la crociata bandita da Innocenzo III nel 1209, e successivamente sul lago di Garda, dove i catari sfuggiti allo sterminio sopravvissero per qualche decennio. Su di loro calò il sipario il 13 febbraio 1278, quando gli ultimi 166 catari del Garda vennero prelevati dal castello di Sirmione per finire arsi vivi in uno spettacolare rogo all’Arena di Verona. 

Cento anni di convivenza con la popolazione del Garda sono difficili da cancellare completamente. Ma è probabile che dell’esistenza di una chiesa catara a Desenzano siano a conoscenza solo pochissimi appassionati di antiche eresie. «Sappiamo che per praticare i loro rituali, i catari si riunivano dappertutto: stalle, cantine, boschi, stanze sotterranee, capanne, case dei credenti – racconta Bellelli – A volte si riunivano di giorno, a volte di notte, e non avevano giorni festivi fissi». Uno di questi luoghi è sicuramente il Castello di Sirmione, teatro della deportazione finale della stirpe catara, che sorge su una piazzetta ora nominata Piazza Castello, ma che fino a qualche decennio fa si chiamava Porto Gazzaro, sinonimo, appunto, di cataro. A Desenzano c’è l’attuale Teatro Alberti, che un tempo era una chiesa dedicata a Santa Maria degli Anziani, un appellativo che veniva dato ai “perfetti”, ovvero i credenti a cui incombevano gli obblighi più essenziali del catarismo: la povertà assoluta, l’astinenza dalle carni, la castità perpetua. «Alcune fonti indicano questa chiesa come luogo di dispute teologiche tra le rissose fazioni catare, tra le quali spiccava il dualismo assoluto del vescovo cataro di Desenzano, Giovanni di Lugio», racconta Bellelli. Ma è soprattutto il Duomo dedicato a Maria Maddalena, che sorge a pochi metri dalla vecchia darsena di Desenzano, a raccogliere la più segreta eredità dei catari. «È una delle pochissime chiese del nord Italia dedicata alla discepola di Gesù ed è probabile che il suo culto, che era molto vivo nel sud della Francia in epoca medievale, fosse stato portato dai catari sul lago di Garda insieme a qualche altro tesoro, di cui si favoleggia ancora», spiega Bellelli.

A tenere viva la memoria dei catari, c’è oggi il ristorante Caffè Città sulla piazza antica di Desenzano, gestito dalla ladychef Maria Cristina Bellelli che, affascinata dai racconti e dalle ricerche del fratello Armando, ha deciso di raccontare – in occasione di Brescia capitale della cultura 2023 – la straordinaria vicenda dei catari del Garda attraverso le “cene eretiche”, un ciclo di incontri culinari che si svilupperà per tutto il 2023. «Quella dei catari è una storia che merita di essere raccontata e di certo uno dei luoghi migliori per farlo è a tavola, perché la loro religione era fortemente connessa all’alimentazione», spiega Bellelli. Detta così potrebbe sembrare il solito menù vegano che fa tanto tendenza. Ma per Bellelli è molto di più: «La filosofia catara potrebbe assomigliare a quella vegana, ma in realtà è diametralmente opposta – spiega – I vegani infatti non mangiano carne perché amano gli animali. I catari invece non si cibavano di animali per disprezzo verso la materia». Un esempio di menù eretico? Riso col cavolo rosso, zuppa di ceci o di pere e, come portata principale, ovviamente pesce di lago cucinato secondo ricette ormai estinte. Per finire, un bicchierino di ippocrasso, il vino speziato medievale usato come digestivo. «Mentre io mi occuperò di cucinare i piatti, mio fratello intratterrà i commensali raccontando la storia dei catari del Garda e il loro complesso rapporto con il cibo», conclude Maria Cristina Bellelli.