Circa la metà delle 235 imprese che hanno presentato le loro esperienze ha già introdotto in azienda una soluzione di cost management. È il risultato di una survey realizzata fra aprile e settembre 2022 dal Centro su costi e performance della Liuc Business School con la sponsorizzazione di Cosman, società specializzata nella cost reduction e nel recupero degli sprechi presenti nello svolgimento dei processi. Nella quasi totalità dei casi le imprese erano di natura privata, con qualche eccezione rappresentata da realtà a partecipazione statale o non profit. «A distanza di oltre 30 anni dai primi contributi in materia qualcosa si sta muovendo nelle pratiche di costing anche nelle imprese italiane» dice il prof. Alberto Bubbio, direttore del Centro su costi e performance della Liuc Business School. «Il ritardo temporale è quello cronico. È stato così anche nell’area planning e control per il budget. Purtroppo alle nostre aziende sembra che sia necessario arrivare ad una qualche forma di obbligo per l’introduzione di nuove prassi. Non si riesce a prevenire, ad intervenire prima».
Due i principali motivi per i quali le imprese hanno scelto il cost management. Da un lato ci sono l’accresciuta complessità gestionale e la rilevanza assunta dai relativi costi, che si va ad abbinare a quella dei volumi. Dall’altro lato la necessità di conoscere i costi dovuti alle attività e processi di gestione dei clienti così da poter elaborare, dopo i margini, un conto economico completo. «I vantaggi riguardano prima di tutto l’elaborazione di conti economici più trasparenti e un maggior coinvolgimento dei responsabili di canale e di cliente in relazione al raggiungimento dei risultati desiderati» sottolinea il prof. Bubbio. «Inoltre, con l’adozione del cost management si diffonde e si condivide una cultura manageriale che muove dai risultati eco-fin e va alla ricerca dei driver di tali risultati. Si crea infine una maggior consapevolezza circa le cose da fare per raggiungere i risultati di budget: su quali processi intervenire, quali variabili anche non financial manovrare e quali azioni intraprendere». Tra gli svantaggi indicati dai rispondenti c’è quello dei costi associati ai tempi lunghi, alla complessità del sistema, ai calcoli da effettuare e alla cultura da creare nella propria realtà aziendale, a testimonianza di resistenze non ancora del tutto superate.
C’è anche chi sceglie strade diverse. «Non tutte le imprese devono introdurre le pratiche di cost management» osserva Bubbio, «anche se queste crescono di utilità all’aumentare della complessità e delle strategie basate su una lettura della gestione per processi o strategie che suggeriscono il ricorso al project management. Coloro che scelgono di non adottarlo lo fanno, dati della survey alla mano, per una mancata conoscenza delle logiche, per ragioni di costi e per motivazioni insite nella natura dell’impresa stessa, che opera in un business semplice, ha una bassa complessità nel processo produttivo, oppure ha impostazioni strategico-organizzative diverse da quelle per processi/progetti».
Significativa, non tanto nei numeri quanto nel valore, la presenza di quattro società benefit nel campione. «Il fenomeno è meno strano di quanto si possa pensare» sottolinea il prof. Bubbio, «poiché in queste realtà si pone molta attenzione ad un processo equilibrato di allocazione delle risorse alle attività gestionali in grado di facilitare il conseguimento della tripla bottom line: profit, people e planet». Il risultato della survey può dirsi incoraggiante, soprattutto nella sua lettura evolutiva nel tempo. «In linea generale, il quadro che emerge dalla ricerca è positivo» conclude il direttore del Centro su costi e performance della Liuc Business School. «Le imprese italiane in materia di analisi e calcolo dei costi si stanno aprendo a nuovi approcci e a nuovi strumenti che la teoria già da tempo ha messo a disposizione e che, in logica di confronto competitivo, molte imprese estere già hanno adottato».