Sanità
Stefano Cuzzilla, Presidente di Federmanager e da poco anche di Cida

«Il movimento dei manager è cresciuto molto in questi ultimi anni nel quadro del sistema della rappresentanza in Italia grazie alla capacità dei manager di investire su se stessi, scommettendo sulla crescita di quelle competenze che oggi sono richieste, dai mercati, per rispondere alla doppia transizione, ambientale e digitale, tracciata anche dal Pnrr», dice Stefano Cuzzilla, presidente di Federmanager e da poco anche di Cida. «Competenze che si rivelano oggi indispensabili per gestire l’attuale fase economica e sociale, caratterizzata da crisi che impattano fortemente sull’intero sistema Paese. Dopo oltre due anni di emergenza pandemica, siamo stati colpiti anche da una destabilizzante crisi energetica, ulteriormente aggravata dal conflitto in corso in Ucraina. Nel mese di giugno il prezzo del gas ha superato i 120 euro al Megawattora e l’inflazione rilevata a maggio ha sfiorato il 7% su base annua. Ma è ancor più nei momenti difficili che si manifesta la stoffa dei manager, abituati a operare nelle complessità. Altri sistemi di rappresentanza stanno sperimentando probabilmente momenti di smarrimento ancora più intensi. Noi cerchiamo di mantenere la barra dritta, per portare il Paese fuori dalle crisi e per consolidare solidi percorsi di crescita».

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Nuova operatività ristori Emilia-Romagna

A partire dal 21 novembre ampliata l’operatività dei Ristori da €300 milioni riservati alle imprese colpite dall’alluvione in Emilia-Romagna. La nuova misura, destinata a indennizzare le perdite di reddito per sospensione dell’attività per un importo massimo concedibile di 5 milioni di euro, è rivolta a tutte le tipologie di impresa con un fatturato estero minimo pari al 3%.



E dunque, nella doppia veste di presidente sia di Federmanager che di Cida, a quale ruolo candiderà il management italiano, in questo contesto?

L’incarico di Presidente di Cida mi onora profondamente, perché la Confederazione costituisce storicamente il vertice della rappresentanza manageriale pubblica e privata in Italia. Il mio obiettivo oggi è quello di aprire per Cida una nuova stagione, che la veda protagonista di un crescente accreditamento istituzionale. Lavorerò, insieme alla grande squadra confederale, affinché Cida sia presente in tutti i tavoli istituzionali promossi per dare attuazione agli obiettivi del Pnrr. Il Piano è la grande occasione che l’Italia ha di fronte, non si può pensare di realizzarla al meglio senza l’apporto decisivo della classe manageriale, che è la spina dorsale di questo Paese. La storia lo insegna, basti pensare, ad esempio, ai grandi dirigenti che sono stati protagonisti del boom economico nel Dopoguerra. Ecco, se il Paese vuole puntare davvero a una ripresa effettiva, bisogna restituire, nel pubblico e nel privato, assoluta centralità alla figura dei manager.

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Cosa intende fare come presidente Federmanager e Cida per la formazione manageriale?

La formazione manageriale è essenziale per rispondere alla richiesta di modernità avanzata dai mercati e da un mondo del lavoro in continua evoluzione. Lo sviluppo tecnologico detta l’agenda mondiale: Zuckerberg punta a connettere oltre 1 miliardo di persone nel metaverso entro la fine dell’attuale decennio. I manager devono saper tenere i ritmi imposti dal progresso e cercare di anticipare le future tendenze. In un quadro del genere, ben si comprende quindi l’importanza di concentrarsi sullo sviluppo di competenze digitali in grado di rispondere alle sfide globali. Ma la formazione, per rilanciare il Paese nella competizione internazionale, deve ripartire dalla scuola e lo dico con rinnovato senso di responsabilità da Presidente di Cida. La scuola è infatti la prima palestra in cui allenare conoscenze e competenze, per riprendere un’immagine propria della cultura classica. Oggi dobbiamo fare i conti con un tasso di analfabetismo funzionale, rilevato non solo in età scolare, davvero preoccupante. Serve una decisa inversione di rotta. Ripartiamo dalle scuole, quindi, per formare cittadini consapevoli e professionalità altamente qualificate. 

Recentemente lei ha auspicato un’Unione europea più equa. Cosa intende?

Come è sotto gli occhi di tutti, i processi decisionali all’interno dell’Ue sono estremamente laboriosi e spesso ingabbiati in estenuanti trattative tra gli Stati membri. Basta esaminare gli schieramenti formatisi in fase di definizione delle risorse del Next Generation Eu e le diverse reazioni che si registrano oggi sui temi dell’energia e della crisi bellica. Per un’Europa più equa bisogna stabilire innanzitutto una coesione effettiva, tra i diversi Stati membri e tra le aree geografiche in cui l’Ue è articolata. Si pensi al nostro Sud, a cui oggi è destinato almeno il 40% delle risorse territorializzabili dal Pnrr e dal Fondo complementare. Sulla carta ci sono grandi risorse per rilanciare il ruolo del Mezzogiorno, come “piattaforma nel Mediterraneo” capace di convogliare opportunità nuove nel campo dell’energia, dei trasporti, delle infrastrutture e di fermare l’emorragia di “talenti in fuga” dal suo territorio.  L’Ue, tenendo fede al suo motto, deve essere quindi davvero “unita nella diversità” e riscoprire quella base di valori comuni e solidarietà cooperativa che ispirò i padri fondatori. Le crisi e i sovranismi hanno fortemente minato la consapevolezza identitaria dell’Unione, ma la comune reazione all’emergenza pandemica è riuscita a dare nuovo slancio allo spirito europeo.

La classe dirigente del Paese esce mortificata dagli ultimi anni di storia politica. Che contributo darà il management?

La politica negli anni ha accusato un indebolimento complessivo, perdendo spesso la capacità di parlare alle persone e di comprendere i bisogni collettivi. Parallelamente, sembra essersi smarrita quell’attitudine a guidare l’avvenire, pensando al futuro delle giovani generazioni. Per reazione, si registra quindi una disaffezione verso la politica attiva, ma anche nei confronti della partecipazione elettorale, precipitata a livelli preoccupanti. Lo dimostrano le elezioni a carattere nazionale e locale, così come i momenti di consultazione referendaria. Eppure, è proprio dalla “politica”, nell’accezione più alta, che deve partire l’individuazione “delle politiche” che proiettino l’Italia verso gli orizzonti della modernità. Mi riferisco alle politiche economiche e sociali, in breve alla direzione da dare al Paese. In questa prospettiva, è fondamentale ristabilire una piena sinergia tra decisori istituzionali e rappresentanze manageriali. Chi decide ha bisogno di essere supportato da chi ha l’esperienza e le conoscenze per incidere.

Il passaggio generazionale nelle imprese familiari italiane sta favorendo o no la loro managerializzazione?

Certamente qualcosa si sta muovendo, ma c’è ancora molto da fare. Soprattutto nell’ottica della costruzione di una nuova cultura della managerialità che superi una visione obsoleta e “familistica” della gestione aziendale. Il tessuto produttivo italiano, composto prevalentemente da Pmi, risente spesso di retaggi culturali improntati al conservatorismo della proprietà, che ostacolano, nei fatti, le possibilità di crescita delle aziende nel segno dell’inclusione, della sostenibilità e dell’innovazione. Spesso le nuove competenze richieste dai mercati non sono reperibili nel perimetro familiare, le imprese devono avere quindi il coraggio di affidarsi a manager “esterni”, da considerare non come una minaccia, ma come creatori di opportunità.