Il Resort Bravo di Plage D’Andilana, in Madagascar

Si chiamano vacanze, ma dietro c’è un lavoro infinito. E strategie che partono da lontano. Chiedetelo a Gabriele Burgio, fiorentino, classe 1954: dopo aver promosso, nel 2012, con i fondi Wise e J. Hirsch il management buyout dalla Exor degli Agnelli, siede al vertice di Alpitour, di cui detiene una quota dell’1%. Dalla sua poltrona di presidente e amministratore delegato in dieci anni ha dovuto fare i conti con le primavere arabe – «abbiamo dovuto cancellare la programmazione di Egitto e Tunisia: un danno enorme» – le ripercussioni della crisi dei debiti sovrani, il Covid e ora la guerra: «Ogni tanto succede qualcosa. Proprio per questo bisogna avere un gruppo flessibile, senza troppi fronzoli: per adattarsi alle contingenze», dice.

È per questo che avete approfittato del “fermo macchina” dettato dalla pandemia per razionalizzare l’offerta con una nuova segmentazione della clientela e la riallocazione dei brand?

In questi due anni abbiamo avuto l’opportunità di ripensare a come facciamo il nostro lavoro e a come aumentare i margini rispetto agli ultimi 75 di vita di Alpitour.

Che al momento del suo ingresso Burgio perdeva 39 milioni, di euro e nel 2019 invece sfiorava i due miliardi di fatturato con un Ebitda positivo intorno al 3%. Poi è arrivato il Covid.

Le aziende crescono con acquisizioni e nuovi dipartimenti, poi arriva la crisi e si fa pulizia. Per noi il Covid è stato il momento delle pulizie di Pasqua: a furia di acquisizioni e fusioni per incorporazione ci ritrovavamo con una dozzina di brand e sub-brand in pancia. Un punto debole: era un’offerta troppo complicata, impossibile da appoggiare con campagne di comunicazione efficaci. Così li abbiamo raggruppati in tre grandi famiglie: Mainstream, la tradizionale vacanza da una settimana all-inclusive, con Francorosso, Bravo e Alpitour…

…che, ricordiamolo, è stato il primo tour operator italiano a proporre, già nel 1947, la formula del “tutto compreso”. E poi?

Specialties e goal oriented, il segmento dedicato al segmento top spender del mercato, recuperando il brand più longevo del turismo italiano, Turisanda 1924, che ha accolto tutta la programmazione Viaggidea. Poi abbiamo creato una cosa completamente nuova, che abbiamo chiamato Seamless & No Frills, fa capo a Edenviaggi, che racchiude e i punti di forza di Margò e Karambola.

Nuova in che senso?

Nel modo in cui viene costruita la proposta di viaggio: flessibile. Scegli tutti componenti e organizzi da solo, che tu sia un’agente di viaggio o un privato… anche se il nostro cliente fondamentale è l’agenzia, che compra per l’80% direttamente dai nostri sistemi.

Insomma, anche nei viaggi vince il trend del tailor made.

Infatti. E si cominciano già a vedere i primi risultati, anche se ci vorranno altri tre anni per raggiungere quello che vogliamo fare. È una sfida tecnologica importante, che ha comportato il rinnovo delle piattaforme. Siamo stati i primi a introdurre in Italia i sistemi di dynamic pricing e dynamic packaging perché bisogna avere la massima offerta possibile in tempo reale, e rientra in un investimento strategico, che abbiamo chiamato inNova, a cui abbiamo destinato dal 2019 al 2023 oltre 20 milioni di euro.

Basteranno?

Ce lo auguriamo. Ma il mondo tecnologico è una trappola, è come cercare di recintare le campagne: non finisci mai.

Intanto da almeno tre mesi state realizzando una media di 30.000 preventivi al giorno con circa 2.000 conferme quotidiane. Long haul o corto raggio?

Vanno molto bene l’Italia, al netto degli isterismi di stagione legati alla carenza di personale, e il Mediterraneo, con la Grecia per la prima volta in testa rispetto alla Spagna. In effetti la nostra attuale composizione dell’offerta non ha confronti in Italia: nessuno presidia l’intera filiera turistica e ha la stessa gamma di servizi e di strutture come noi. Magari possiamo avere concorrenza nelle singole aree di business, ma mai come gruppo. Ma fuori dal Mediterraneo stiamo vendendo un boom clamoroso: potrebbe arrivare a numeri record sulle destinazioni a lungo raggio, con Maldive e Madagascar come mete preferite.

Nonostante l’incognita del jet fuel?

Non ci tocca più di tanto: per fortuna nel 2015 avevamo deciso di rinnovare la flotta della nostra compagnia di volo, Neos. Il primo Dreamliner 787 è stato consegnato a Verona il 18 dicembre 2017, scortato dalle Frecce Tricolori: sono gli aerei che consumano di meno nel mondo. E li abbiamo solo noi qui, In Italia.

Tornando alle prenotazioni?

Il trend attuale supera addirittura i dati del 2019, il migliore anno di sempre, quando sfiorammo i due miliardi di fatturato.

Che poi sono crollati a 600 milioni di euro col Covid. Avete chiuso l’ultimo esercizio, a ottobre 2021, con una perdita netta consolidata post Ifrs 16 pari a 102,8 milioni di euro. Come chiuderà il prossimo? A proposito: perché ottobre?

È una vecchia tradizione, quella di chiudere il bilancio con la conclusione della stagione estiva. Abbiamo avuto un anno composto da due parti: un inverno che ha sofferto le limitazioni imposte dal ministero della Salute, senza possibilità di fare una vacanza al di fuori della comunità europea, con tutte le alternative al Mediterraneo chiuse, eccetto Maldive, Egitto e Repubblica Dominicana. Poi, a cavallo tra febbraio e marzo, quando si è riaperto tutto, a parte alcuni Paesi come Giappone e Nuova Zelanda, è iniziata la guerra.

E vi siete preoccupati.

Molto. Ma poi abbiamo visto che la voglia di viaggiare dopo due anni di repressione ha vinto. E stiamo vedendo una stagione molto forte. Escludendo 2020 e 2021 dalle statistiche…

..che sarebbe come moltiplicare ceci per patate…

Mio padre diceva “imbrogliare al solitario”. Mentre negli altri anni la distribuzione delle vendite era lineare, oggi notiamo da una parte una notevole anticipazione della pianificazione, dall’altra moltissime prenotazioni dell’ultimo momento e grandi vuoti nel mezzo. Non solo: uno dei trend visti in questi giorni è la crescita esponenziale delle assicurazioni contro le cancellazioni dovute al Covid o alla guerra.

Non tutto il male vien per nuocere, dunque: l’Italia è tradizionalmente un Paese sottoassicurato. Torniamo ai numeri, però.

Quest’anno vedrà un forte recupero: dovremmo attestarci sopra agli 1,3 miliardi di euro di ricavi, purtroppo lontano dal nostro record del 2019, quando mancavano due milioni ai due miliardi. Abbiamo vissuto 8 anni nei quali siamo passati da 11 milioni di ebitda a 71, poi sono arrivati due anni di batosta pazzesca. Però intanto quest’anno torniamo finalmente a un risultato operativo positivo, soprattutto siamo soddisfatti perché abbiamo migliorato la marginalità grazie alle riorganizzazioni e agli investimenti degli ultimi anni.

Meno fatturato e più margini: è il mood del momento. Un momento particolare: anche ad aprile nella sua lettera agli azionisti di Tip, attuale azionista di maggioranza di Alpitour World, Giovanni Tamburi s’era detto ottimista, citando non solo l’inversione di tendenza, ma anche l’indebolimento della concorrenza.

In effetti la nostra attuale composizione dell’offerta non ha confronti in Italia: nessuno ha la stessa gamma di servizi e di strutture.

E i cigni neri?

Li abbiamo addomesticati, ormai: di crisi ne abbiamo viste negli anni, in questo mercato, e forse è proprio per questo che siamo arrivati prima degli altri a rivedere le strategie di business. L’importante, per quanto riguarda le crisi, è saperle affrontare con flessibilità, adattando il business plan man mano. Diciamo che ora con mercati tranquilli siamo diventati una Ferrari non “bi” ma addirittura “tri”turbo. Ora, ci auguriamo solo di non avere nuove sorprese che sfuggano alla nostra capacità di gestione!