Sono trascorsi 93 giorni dall’inizio della guerra in Ucraina e i combattimenti non accennano a fermarsi. Anzi non si esclude un’escalation. La telefonata tra il presidente del consiglio Mario Draghi e Vladimir Putin nella giornata di giovedì conferma le intenzioni del presidente russo di continuare il conflitto e di non riaprire delle trattative in questo momento.

Nella serata di giovedì, il capo della diplomazia di Mosca, Sergey Lavrov, ha ammonito sul fatto che se Kiev colpisse il territorio russo con le armi occidentali si compirebbe “un passo verso una escalation”. In tale ottica, le notizie che sono giunte in queste ore da Washington non possono che destare inquietudine, dato che l’amministrazione Biden, stando a quanto reso noto dalla Cnn, si starebbe preparando a potenziare il tipo di armi offerte all’Ucraina inviando sistemi missilistici avanzati a lungo raggio come richiesto a gran voce da Kiev. L’amministrazione americana è, infatti, favorevole all’invio dei sistemi all’Ucraina come parte di un più ampio pacchetto di assistenza militare e di sicurezza, che potrebbe essere annunciato già la prossima settimana. I sistemi d’arma fabbricati negli Stati Uniti possono sparare una raffica di razzi per centinaia di chilometri – molto più lontano di qualsiasi altro sistema già presente in Ucraina – e secondo lo stato maggiore del paese aggredito tale armamento potrebbe rivelarsi un punto di svolta nella guerra contro la Russia.

Le truppe russe all’assalto di Bakmut

In merito al la situazione sul campo, le stesse forze armate ucraine hanno riconosciuto che le truppe russe hanno compiuto ulteriori progressi nella regione orientale di Donetsk, attestandosi saldamente a circa 16 chilometri dall’importante città di Bakhmut. Nei quadranti di Lugansk e Donetsk la situazione è descritta da Kiev come “molto difficile” e una serie di ripiegamenti appare ormai inevitabile. Il presidente ucraino Volodymyr Zelensky ha accusato la Russia di praticare il “genocidio” nel Donbass, dove la città di Severodonetsk stava subendo un diluvio di bombe.

«L’attuale offensiva degli occupanti nel Donbass potrebbe rendere la regione disabitata», ha detto Zelensky nel suo discorso televisivo serale, accusando gli invasori di voler “fare terra bruciata di Severodonetsk e delle altre città della regione. Inoltre nove persone sono state uccise e altre 19 ferite nella città nord-orientale di Kharkiv fatta oggetto di “intensi bombardamenti” diretti anche sulle aree residenziali. Intanto centinaia di migliaia di civili ucraini sono stati inviati in una serie di “campi di filtraggio” russi nell’Ucraina orientale e da qui inviati in Russia come parte di un programma sistematico di rimozione forzata, secondo diverse testimonianze dai media locali e internazionali. Ormai il bilancio delle vittime civili accertate dall’inizio dell’invasione russa il 24 febbraio è arrivato a 4mila, secondo quanto riportato dal Kiev Independent, che cita il rapporto dell’Agenzia delle Nazioni Unite per i diritti umani. Ma si teme che le cifre reali possano essere superiori.

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Ancora fermo il cibo nei porti per la guerra

Gli Stati Uniti hanno respinto l’appello all’Occidente del presidente russo, Vladimir Putin, affinché revochi le sanzioni economiche imposte a Mosca. Secondo il Cremlino, Putin ha detto al premier Mario Draghi che la Russia libererà le navi che trasportano cereali e fertilizzanti «a condizione che le restrizioni politicamente motivate siano revocate dall’Occidente». La nuova portavoce della Casa Bianca, Karine Jean-Pierre, ha replicato che «è la Russia che sta attivamente bloccando l’esportazione di cibo dai porti ucraini e sta aumentando la fame nel mondo e al momento non si è discusso della revoca delle sanzioni. La Russia dovrebbe cessare immediatamente la sua guerra all’Ucraina, che ha avuto un impatto sulla sicurezza alimentare globale, ha aggiunto Jean-Pierre».