Mario Draghi ha delle idee che non condivide, roba che neanche Woody Allen.
Proroga Superbonus, Draghi firma e poi contesta
Il suo governo ha fatto più di una revisione sul superbonus del 110 per cento, che ha ereditato dal Conte 2, l’utima delle quali tre giorni fa, prorogando al 30 settembre il limite per i lavori ammessi a contributo nelle “villette”: revisioni firmate anche da lui. Che poi a Strasburgo, come se si trovasse più “a casa sua” che a Roma, si è sfogato contro quella legge, addossandone la responsabilità degli ingenti costi ai partiti che gliel’avrebbero imposta.
Ora: sugli effetti della legge, ai posteri l’ardua sentenza, visto che i 4,4 miliardi di truffe denunciati dall’Agenzia delle Entrate – che di truffe s’intende, viste quante ne subisce a tutto danno dei cittadini onesti che pagano un’ignobile quantità di tasse – sono una montagna, ma non è colpa evidentemente né dei deputati né dei cittadini onesti, bensì di quelli disonesti e di un sistema putrefatto di controlli sul territorio che nessuno più compie, né per prevenire le truffe, né le morti sul lavoro, né il lavoro nero, né l’economia sommersa, che lorsignori chiamano “non osservata” ma c’è eccome.
LEGGI ANCHE: Il superbonus prorogato al 30 giugno, ma solo per le villette
Il premier in Europa la racconta diversa
Che far girare denaro sull’edilizia aiuti fortemente la ripresa è noto e riprovato anche da questo primo anno e mezzo di superbonus. E l’andamento eccellente per la nostra economia dell’iper – ammortamento degli investimenti sul 4.0 è lì da vedere come precedente storico virtuoso.
Ma se nell’insieme il professor Draghi è convinto che la legge sia sbagliata o eccessiva avrà le sue ragioni. Poteva negoziarla meglio con i partiti: non gli mancano né il prestigio né la credibilità. Poi però, una volta varate le modifiche, avebbero dovuto diventare modifiche “di tutti”. Invece Supermario sottolinea il distinguo: “non in mio nome”, dice ai suoi adoranti amici europei. Non si confonde con la gentaglia che lo tiene su a Palazzo Chigi, e sappiamo che per molti versi ha ragione. Però certe cose non si dicono, certi atteggiamenti non si assumono.
Una gaffe che neanche Berlusconi
Immaginiamoci cosa avrebbero commentato gli editorialisti dei quotidiani maggiori e gli opinionisti dei grandi talk show se un’uscita del genere l’avesse fatta il Berlusconi delle grandi gaffe, “area Merkel culona”, per caparci. Avrebbero gridato allo scandalo, stigmatizzato lo snobismo autocratico di un premier che si distingue con schifo e sdegno dai partiti della sua stessa maggioranza e ne biasima la linea, dopo averla – evidentemente per costrizione politica – applicata. Un vero disastro, di stile e di sostanza. Certo, Berlusconi se le chiamava tutte, le pernacchie. Ma c’è sempre, o meglio dovrebbe esserci sempre, una pernacchia per il potere che esagera e va fuori campo. Senza sconti per nessuno.