di Cinzia Ficco
A tenaglia, chiocciola, soletta rampante, pioli, tecnica, comune, per interni e ambienti esterni, per uso domestico e professionale… La tipologia delle scale made in Italy è davvero variegata, nonostante il comparto non abbia grande visibilità. E questo, secondo Confartigianato, perché “sulle 3.302 imprese attive in altri articoli di metallo e sulle 472 imprese operanti in altri articoli di legno, sono compresi anche i produttori di scale”.
Ma quanta ricchezza producono gli scalifici nel nostro Paese e quali sono le loro criticità? A rispondere è l’imprenditore Domenico Franzoni (Sicos scale) che, spulciando i bilanci aggiornati al 31 dicembre 2021, fa sapere: «Le prime 8 aziende produttrici di scale presenti sul territorio italiano ricoprono il 95% della produzione nazionale di scale, sgabelli e trabattelli, ossia ponteggi mobili su ruote. Il totale del comparto impiega 622 addetti e produce una ricchezza di 150milioni di euro. Di questi, 30milioni arrivano da aziende con sede nel Centro Italia. Il resto da quelle del Nord. In questo momento a incidere sul comparto è l’andamento del prezzo delle materie prime. Le scale, infatti, sono realizzate per lo più in alluminio con piccole percentuali di materie plastiche (packaging e finiture), mentre trabattelli e sgabelli per uso domestico sono fatti in acciaio, in alcuni casi verniciato. Alcune volte, le strutture sono sottoposte a trattamenti galvanici, in genere zincatura. Va da sé che le oscillazioni nelle quotazioni dell’acciaio e dell’alluminio hanno comportato continui stravolgimenti. E problemi nelle organizzazioni aziendali. Se a questo si aggiunge un generale allungamento dei tempi di consegna dei materiali da costruzione, si può ben capire quanto la fase di approvvigionamento e quella di produzione siano state sottoposte a livelli di stress mai registrati prima».
Di contro, fa sapere Franzoni, con la pandemia ed alcune misure messe in atto – tipo Superbonus 110% – la richiesta del mercato è sempre stata molto elevata. «Il Covid – chiarisce – ha infatti portato molte persone a svolgere lavori domestici per i quali la scala è stata uno strumento di lavoro primario. Le strutture di distribuzione, quali ferramenta e bricolage store, sono state attive come distributori anche di dispositivi di protezione individuale. Altro elemento di aiuto alla produzione nazionale è arrivato dagli incrementi nel Far East dei prezzi dei noli container, che hanno visto decuplicati i propri valori, ponendo di fatto un argine importante all’importazione di scale e sgabelli dalla Cina».
Se ci fosse la possibilità di intervenire sul comparto, Franzoni non ha dubbi: «Sarebbe auspicabile avere norme che contemplino le abitudini locali. In agricoltura, per esempio, i produttori di mele in Trentino o chi raccoglie olive in Puglia, hanno bisogno di scale particolari, tipo quella triangolare, che non può essere certificata secondo la normativa europea. Questo è un limite, che andrebbe superato. Inoltre, necessario sarebbe avere un marchio nazionale per proteggere il made in Italy dalla concorrenza straniera».
E restando sul tema, sembra che all’estero apprezzino molto il design, la qualità e il rapporto qualità/prezzo delle nostre scale. Esclusi gli States e il Giappone, in cui vige una normativa tecnica molto diversa, in ogni altro Paese del mondo è possibile ritrovare scale made in Italy.
Dunque, un occhio maggiore a questo comparto.