Nell’ultimo numero abbiamo illustrato come, con tutta probabilità, la struttura dei tassi delle banche centrali e lo spread applicato dalle banche commerciali alla clientela aziendale fossero destinati ad aumentare. Così è stato, almeno sinora. Un piccolo o grande aumento del costo del denaro non può però pesare fortemente sui conti economici delle aziende. Siamo infatti a valle di numerosi anni nei quali i tassi sono stati bassissimi.
Ciò ha provocato un enorme trasferimento di ricchezza tra il ceto dei risparmiatori e il sistema aziende, irrobustendo fortemente i conti economici di queste ultime. Un piccolo aumento di costi per interessi passivi è quasi per tutti sostenibile. Guardando al futuro la prospettiva cambia, di molto. Il tema non sarà più quanto elevato è il tasso passivo: il vero tema è se le banche terranno aperti i rubinetti del credito. Il termine delle moratorie, le prevedibili riduzioni sulle garanzie che lo Stato applicherà a favore delle banche in uno con i primi accenni di recessione hanno l’effetto di fare alzare l’avversione al rischio di credito da parte del sistema bancario e di rendere le cose più difficili per tutti.
Occorre quindi saper rispondere ad una domanda fondamentale: come farò ad ottenere credito in futuro, visto che ormai le banche sono poche, il contesto è sfavorevole, l’inflazione gonfia i fabbisogni di circolante e lo Stato darà meno garanzie?
Per rispondere è bene mettersi dalla parte delle banche e capire come ragionano quando devono concedere credito. Giusto o sbagliato che sia, la banca per prima cosa guarda al rating creditizio dell’azienda. Miglior rating vuol dire maggiori finanziamenti ma, ahimè, peggior rating vuol dire meno disponibilità delle banche, anche sullo stock di crediti già in essere. Qui vengono i primi due grandi problemi: l’azienda non conosce il proprio rating né, tantomeno, ha in essere un programma per migliorarlo. La prima, primissima raccomandazione che mi sentirei di dare ad una azienda, sia essa finanziariamente solida o meno, è di fare quanto necessario per conoscere il proprio rating creditizio. L’intera industria della mediazione creditizia è sicuramente a disposizione per aiutare, così come certamente anche le banche. Il mediatore tenderà a fornire i dati delle varie agenzie di rating, la banca tenderà a parlare del proprio rating interno. In ogni caso cercare credito senza conoscere il proprio rating è come guidare con gli occhi chiusi. La conoscenza del rating deve scatenare la corsa al miglioramento. Per le aziende più forti è una corsa a pagare di meno, per le altre è una corsa che si dovrà fare per la sopravvivenza. Le leve principali per il miglioramento del rating sono, fondamentalmente, tre: gestione adeguata dell’immagine (senza una buona prima impressione è difficile ottenere credito); buoni dati economici e patrimoniali (ci mancherebbe); massima informazione e trasparenza. L’impressione iniziale (“immagine”) deve essere rassicurante per chi ti presta i soldi e vuole avere ragionevole sicurezza di riottenerli. Fanno buona impressione, come ovvio, l’anzianità aziendale (questa, purtroppo, o la si ha o occorre saper stringere i denti), la qualità della proprietà e del management, la capacità di gestire in maniera ordinata il rapporto con la banca (no sconfini, no impagati!), una gestione corretta del Durc e dei debiti tributari e, non ultimo, un sistema di controlli adeguato e credibile (collegio sindacale, sistema di alert, sistema contabile, etc.). Passiamo al secondo punto: occorre mostrare dei “ragionevoli” dati economici e patrimoniali.
La banca guarda alla stabilità/crescita del fatturato, alla redditività (Ebitda e ultima riga di conto economico), all’indebitamento (Pfn/Ebitda, Pfn/Patrimonio Netto), al cash-flow prospettico al netto di necessità per l’attivo fisso ed il circolante ed allo spazio disponibile in Centrale Rischi. Se i dati non sono buoni occorrerà lavorare per migliorarli (esempio: non avere paura di pagare più tasse mostrando profitti più alti, rivalutare gli attivi, etc.). Se la manovra di miglioramento cui si è appena accennato è fattibile in tempi brevi è certamente meglio. Alternativamente occorre arrangiarsi con quanto si ha come punto di partenza e convincersi (e convincere la banca) che il futuro potrà/sarà migliore. Qui entra in gioco un business plan fatto bene, un budget credibile, la forza dei propri clienti ed il rapporto che si ha con loro, una esposizione di piani e programmi fatta senza reticenze da un management competente e convincente, magari raccolta via video (uno strumento inspiegabilmente sottoutilizzato). Visto i tempi che corrono e le instabilità – sia quelle macroeconomiche che quelle riguardanti il sistema bancario – chi fa meglio il lavoro sopra accennato emergerà vincitore: immagine di sicura affidabilità, dati buoni o in miglioramento, programmi credibili per un buon management sono i tre prerequisiti che piacciono alle banche. Per non saper né leggere né scrivere meglio partire subito. Le aziende di consulenza finanziaria che possono essere di aiuto esistono e mediamente sono anche brave.