La terzietà impossibile nel Paese dei Montecchi e Capuleti, dei Guelfi e dei Ghibellini, degli Oriazi e dei Curiazi non poteva che portarci allo spettacolo di queste ore sul futuro del Quirinale: lo spettacolo di un braccio di ferro di potere tra forze politiche – pardon: debolezze politiche – ormai disancorate dall’opinione degli elettori, ossia da quella attuale, sideralmente lontana da quanto descrissero i risultati elettorali del 2018.

L’altro SuperMario: bravo ma anche cinico

Mario Draghi non è riconducibile politicamente all’una o all’altra parte. Il suo profilo culturale e istituzionale l’ha collocato sempre su un piano ipertecnico nel quale lui è stato attentissimo a non compromettersi mai con nessuno di coloro che di volta in volta gli davano spazio. Lavorando per le istituzioni che gli venivano affidate, non per chi gliele affidava. Bravo? Bravissimo, ma anche cinico. Cioè? Spieghiamoci.

Cioè ad esempio, da direttore generale del Tesoro, non poteva tecnicamente fermare l’Opa Telecom, e non fece una piega nel lasciarla passare: il governo la voleva, il suo ministro non riteneva di doverla impedire. La disapprovava? Si pensa, ma lui non lo disse. Sarebbe stato ben strano, peraltro, che gli piacesse, per come era congegnata.

Da governatore della Banca d’Italia non eccepì nulla sull’offerta da 10 miliardi di euro del Montepaschi sulla Banca Antonveneta, che segnò l’inizio della fine, pur essendo stata fatta senza pre-esami dei conti dell’acquirente, eppure avrebbe virtualmente potuto. Non tecnicamente dovuto. Come la pensasse, non si sa. Ma è mai possibile che in cuor suo, in scienza e coscienza, apprezzasse l’operazione. Però anche lì, la politica la voleva, lui non la bloccò.

Da governatore della Bce indicato da Berlusconi non esitò a scrivere la lettera tombale che mandò a casa l’ultimo governo Berlusconi. E meno male, perché quel cambio di rotta – pur con il breve equivoco di Monti a Chigi – segnò tuttavia l’inizio della salvezza del Paese. Però, come dire: il designante mollato contento non fu. Ma Draghi quella lettera la firmò. E senza neanche dover riconoscere – per com’era la situazione – di essersi schierato personalmente contro il Cavaliere.

Draghi è rigido, Salvini inciucia con Letta-5S 

Dunque un uomo iperpolitico nella sua apoliticità, ma autoreferenziale. E quest’uomo delle istituzioni – o nonno delle istituzioni – oggi fa dire in giro da alcuni che gli sono vicini da sempre di non essere pronto a tutte le soluzioni, tantomeno quelle che pretendessero di connotare di più, politicamente, il suo esecutivo in caso di permanenza a Chigi, con un rimpasto. Lo fa capire per interposte persone, con la velata e implicita minaccia di poter essere trascinato a dire, come Scalfaro: “Non ci sto”. Inverosimile. Draghi non mollerebbe mai il Paese nei guai. Ma per non farlo pretenderà che la situazione vada come vuole lui. O almeno non come non vorrebbe. Solo che, come i protagonisti di “Gioventù bruciata”, Draghi vuol vedere chi se la sentirà di non frenare la macchina prima del salto nel vuoto.

E del resto il centrodestra – che non sarà maggioranza come invece afferma tra i grandi elettori e forse nemmeno nel Paese ma non è da meno del centrosinistra che a sua volta millanta di esserlo – non vuole incassare il manrovescio di ritrovarsi Draghi sul Colle e insiste a cercare con Pd e Cinquestelle una soluzione che lo veda se non vincitore morale almeno vincitore a pari merito. Alchimia difficilissima, tanto più dopo che Salvini e Meloni si sono lasciati tenere in ballo due mesi dalla paranoica autocandidatura di Berlusconi.

Come se ne esce?

Di sicuro, se ne uscirebbe con il Mattarella-bis. Non cambiando nulla. Altri dodici mesi, su, forza: nessun parlamentare vuole andare a casa prima. Draghi ha un sacco di lavoro da fare ancora e non è vero che la maggioranza semi-unitaria che sostiene il suo governo ne sosterrebbe un altro. Mattarella è anziano ma è vispo come un sessantenne. Si facciano tutti quest’altro giro di giostra e non stressino il Paese come stanno facendo. O dobbiamo pensare che Di Maio abbia convinto Draghi che “uno vale uno”?