Tim riceve una offerta da Cdp per la rete
PIETRO LABRIOLA AD TIM

Dunque, e finalmente, il governo Meloni ha “detto qualcosa di destra”, cioè di nazionalista, ed ha autorizzato il suo braccio finanziario più potente, cioè la Cassa depositi e prestiti, a fare un’offerta non vincolante, in tandem con il fondo australiano McQuarie, per acquistare da Tim la società NetCo che ricomprenderà la rete infrastrutturale e la partecipazione in Sparkle. L’oferta è di complessivi 18 miliardi, dei quali circa la metà in cash e metà come accollo debiti, perché oggi l’indebitamento finanziario di Tim è di 25,4 miliardi, una zavorra da schiacciare un elefante. Attenzione: a Tim, per gli stessi asset, è anche arrivata un’offerta da un fondo americano, Kkr, famoso per le sue offerte speculative, pare per lo stesso importo.

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La prima domanda che s’impone è questa: visto che Tim oggi in Borsa vale poco meno di 7 miliardi, perché due realtà sane di mente come Cdp e Kkr devono offrire più del doppio per prendersene solo una parte, quando facendo una bella Opa a 10 miliardi su tutta Tim si troverebbero in pancia anche gli asset che desiderano?

Semplice: perché nel suo complesso Tim vale poco anzi pochissimo, per colpa di quei debiti ereditati dal passato. Con i suo 14,6 miliardi di ricavi e 6 di ebitda, Tim non ha la forza di rimborsare il debito (che è oltre il quadruplo dell’ebitda!) e tantomeno di fare gli investimenti sulla rete mobile 5G e ancora sulla rete fissa a banda larghissima che servirebbero. Con tutto il rispetto per l’impegno dell’(attuale) ottimo management, l’azienda è bel po’ bollita.

Il rischio è che lasciandola cuocere nel suo brodo si trasformi in un’Ilva della telefonia, o in un’Alitalia del web…

Tirandole via la rete – che rende meno dei servizi ma renderà sempre! – e trasfondendole un po’ di soldi (i famosi 10 miliardi di debiti che verrebbero rilevati da Cdp), ci sarebbe forse la possibilità di farla rianimare e intanto unificare sotto le stesse insegne dello Stato sia la rete fissa di Tim che quella in corso di ampliamento ma ormai già grande, sviluppata da Open Fiber, società controllata da Cdp con McQuarie. Sia chiaro: la rete elettrica è pubblica (Terna), la rete del gas è pubblica (Snam), la rete ferroviaria è pubblica (Rfi): perché abbiamo privatizzato, mettendola nelle mani di nessuni, la rete telefonica, che era un gioiello italiano invidiato nel mondo?

Risposta in sintesi: per colpa di Prodi e Massimo D’Alema. Prodi, per aver incluso nella privatizzazione delle telecomunicazioni anche l’asset della rete invece di scorporarlo e di tenerlo pubblico; e D’Alema, per aver poi propiziato l’Opa di Olivetti su Telecom, quella dei famosi 100 mila miliardi di euro nel ’99, che sono ancora dopo 24 anni per metà lì dentro, a frenare, mentre il business ha iniziato a rendere sempre meno.

Per questo è venuto il momento che lo Stato sani queste storture e restituisca al popolo italiano – si fa per dire – il controllo di un’infrastruttura essenziale per lo sviluppo economico e sociale del Paese che sta deperendo per la pessima gestione avuta dai privati che l’hanno controllata e tosata.

E cosa deciderà Tim? Bella domanda! Il consiglio d’amministrazione ha approvato il business plan dell’amministratore delegato Labriola, che è del tutto in linea con l’offerta Cdp. Se non approva quest’offerta, che giustificazione può dare? Solo una: che cioè l’azionista di maggioranza relativa, il gruppo francese Vivendi, vorrebbe ben 30 miliardi anziché 20. Ma Vivendi non è rappresentata nel consiglio… e i consiglieri in carica rispondono davanti a tutti i soci e alla legge dele loro decisioni. Peraltro, se Vivendi dovesse scottarsi le dita con Telecom, sadebbe solo una nemesi storica rispetto a un comportamento predatorio e speculativo che si è per ora ritorto come un boomerang contro chi l’ha adottato…