Gli intangibili, il tesoro nascosto da valorizzare

Del “Decreto agosto” emanato dal governo Conte 2 è contenuta una norma potenzialmente preziosissima per le imprese che sapranno avvalersene: è la norma che consente alle imprese di rivalutare i beni immateriali, come marchi, brevetti, know how, permettendo di far emergere proprio quei valori sommersi ma decisivi per il successo aziendale. Si tratta di un’importante opportunità di patrimonializzazione ed al contempo di risparmio fiscale. La rivalutazione ha infatti l’effetto di incrementare l’equity, contribuendo di fatto a migliorare il rapporto strutturale mezzi propri rispetto a quello di terzi. 

Per le imprese familiari, strutturalmente sottocapitalizzate a causa della scarsa liquidità, e spesso dall’errata commistione patrimonio famiglia e impresa, tale opportunità non andrebbe certo persa. Questo periodo, con questa norma, sarebbe particolarmente indicato per le aziende che volessero rivalutare il loro patrimonio. La crisi pandemica ha infatti modificato lo scenario economico di riferimento, accelerando alcune tendenze in atto e generando consapevolezze che prima erano sopite. Una di queste è rappresentata proprio dal fatto che le imprese generatrici di valore sono quelle con una vocazione alla valorizzazione delle risorse intangibili. Il modello a cui facciamo riferimento è quello di imprese che sviluppano prodotti/servizi ad alto livello qualitativo e sono caratterizzate da strutture agili, flessibili, disposte su reti, con funzioni basate su cooperazione, conoscenza e comunicazione. Sta infatti emergendo sempre più, la cosiddetta “economia della conoscenza” ove le risorse intangibili – capacità di innovazione, proprietà intellettuale, capitale umano, competenze organizzative ecc. – costituiscono gli elementi necessari su cui misurare il valore di un’impresa e la sua possibilità di adattarsi e svilupparsi cogliendo opportunità anche in contesti economici di crisi. La competitività delle imprese è connessa imprescindibilmente alle sue risorse intangibili, difficilmente imitabili, e sempre meno a quelle tangibili-finanziarie che da sole non permettono più di generare quel differenziale competitivo necessario per lo sviluppo e la continuità aziendale. Storicamente nel mondo anglosassone l’elemento trainante dell’impresa è risultato essere il commerciale, a differenza di quello latino più fondato sul produttivo. Ebbene, ora il modello che si sta delineando è quello relazionale.

Studi recenti ed evidenze empiriche stanno facendo emergere che nelle Pmi e microimprese la componente relazionale gioca un ruolo strategico nel successo imprenditoriale. Il capitale relazionale non è da intendersi nella definizione dottrinale ossia – il complesso degli intangibili maturati nei rapporti sia con la clientela che con gli altri stakeholder – bensì nella consapevolezza strategica che vede le persone “al centro”. Il capitale relazionale è lo stock di fiducia, fedeltà e lealtà che l’impresa deve sviluppare e preservare sia all’interno che all’esterno della propria organizzazione. In tal modo, le competenze, le attitudini e le agilità dei singoli non rimangono “iceberg isolati” bensì a servizio del bene comune aziendale. Gli intangibili, ancorché risorse essenziali per lo sviluppo aziendale, sono spesso valori non gestiti, non valorizzati e non pubblicizzati; anche nel bilancio sono fondamentalmente invisibili. Per tale ragione spesso sfuggono alle attività valutative tradizionali delle aziende. Un asset intangibile che risulta inspiegabilmente assente nei bilanci è il marchio. Esso incorpora indirettamente anche le altre risorse non materiali ed è un elemento decisivo per il successo di un’impresa. Tra l’altro, è il segno distintivo per eccellenza ed è autonomamente in grado di generare reddito grazie al meccanismo delle royalties. Dunque è davvero questo il momento per considerare una rivalutazione degli asset. Se non ora, quando?

*L’autore, Emanuele Lumini, dottore commercialista, è ceo e founder dello  studio Lumini & Associati