Il ritratto di Elisabetta II dipinto Pietro Annigoni nel 1955
Il ritratto di Elisabetta II dipinto Pietro Annigoni nel 1955

di Andrea Marnati

La scomparsa di Elisabetta II ha accresciuto l’interesse collezionistico per oggetti che ne hanno illustrato il ruolo e l’immagine nei suoi 70 anni di regno. Si potrebbe parlare di un patrimonio gadgettistico ma pure immateriale incarnato dalla sovrana; una sorta di copyright identitario della britishness ad ampio raggio e su versanti anche di costume. In effetti la Regina è stata onnipresente ai minimi termini persino su scatole di cioccolatini, mugs, magneti da frigorifero. Un presenzialismo grandangolare che ha sostenuto un consistente giro d’affari con produzioni per ogni tasca e gusto, spesso finite sotto i riflettori in occasione di aste. E con lo schietto apprezzamento del consorte di Elisabetta II, Filippo di Edimburgo, che ironicamente definiva la famiglia reale La Ditta. 

Già in occasione del suo 96° compleanno nel 2022, una Barbie con le sembianze di Elisabetta II aveva spopolato. Un giocattolo a tiratura limitata, distante dai suoi tradizionali connotati da pin up californiana, eppure esaurito in breve tempo e attualmente reperibile per non meno di 300 euro. Su fronti più istituzionali, il repêchage celebrativo ha visto rispolverare gli scaffali e i solai d’oltremanica. Oggetto della caccia al tesoro, una tazza regalata a tutti gli studenti britannici in concomitanza dell’incoronazione nel 1953 e oggi divenuta un must-have per gli estimatori di Sua Maestà. 

Anche la sovrana è stata una forte personalità collezionistica con raccolte di livello esclusivo. La famiglia Windsor è infatti titolare di un patrimonio di opere d’arte con migliaia di quadri e innumerevoli oggetti d’arte disseminati nelle residenze reali. Tra questi spiccano dipinti del Rinascimento italiano incluse opere di Caravaggio, Tiziano, Tintoretto, Bernini, Gentile da Fabriano, Artemisia Gentileschi oltre a disegni di Leonardo e Michelangelo e creazioni firmate Fabergé.       

Sempre su fronti artistici, la sovrana e la sua immagine hanno avuto declinazioni estetiche all’insegna di una stretta aderenza. Emblematico in questo senso fu il famoso ritratto realizzato nel 1985 da Andy Warhol, guru della pop art, che filtrò la regalità facciale della Sovrana in una sorta di quintessenza personalizzata in contorni e colori. L’ispirazione venne da una foto ufficiale del 1975. Warhol aveva già nitidi i reali confini di una certa popolarità, come asserito dall’artista con parole riprese da Sotheby’s su Instagram: «Voglio essere famoso come la Regina d’Inghilterra». Probabile consiglio di esperti d’arte ma pure di comunicazione, quattro esemplari – da una produzione seriale – furono acquistati nel 2012 dal Royal Collection Trust, organismo che gestisce i beni da collezione della famiglia reale. Appartengono a una sequenza con polvere di diamanti, definizione riferita solo agli effetti di lucentezza dell’opera. Comunque sia, lo scorso novembre un clone tratto da quella serie, messo all’asta in Canada, ha totalizzato la somma record di quasi 900.000 dollari. 

Oltre ai suoi accessori di moda divenuti anch’essi icone di una collezione d’immagine – tra questi, i cappelli con una stima di 5.000 modelli indossati e numerosi foulard di Hermès – Elisabetta II si è ritagliata una fama anche per una delle più prestigiose collezioni di francobolli a livello mondiale. Tra le sue rarità c’è un pezzo che a suo modo si presta a considerazioni sullo sfondo di climi postcoloniali maturati già molto prima della scomparsa della Regina. Si tratta di un rarissimo francobollo dell’India indipendente, ex perla dell’Impero britannico, emesso nel 1948 e con raffigurato il Mahatma Gandhi, il “padre” della nuova nazione asiatica. Di questo valore da 10 rupie, 100 pezzi vennero sovrastampati “service” (termine che indica un utilizzo per funzioni ufficiali ad appannaggio solo di cariche istituzionali, segnatamente della neonata nazione); uno ha trovato posto anche nella collezione della Regina. Nel 2022, presso un’asta londinese, un appassionato australiano sborsò 500.000 sterline per aggiudicarsene una quartina di esemplari ancora in circolazione. 

Cicli storici e rivalse stanno interessando anche un simbolo più istituzionale del passato coloniale britannico: il diamante Koh-i-Noor, 105 carati di preziosa lucentezza passati per le mani dei sovrani britannici dal 1849. Fu in sostanza un bottino di guerra il cui valore e prestigio, in sterline valutabili almeno in un centinaio di milioni, ne determinò l’ingresso nel novero dei gioielli della corona; precisamente, incastonato nella corona della Regina Madre di Elisabetta. Settori diversi della società indiana – che come in altri stati del Commonwealth sentono sempre più allentati i legami, ormai solo sentimentali, con Londra – sono tornati alla carica chiedendo la restituzione del Koh-i-Noor. E con essi altri paesi che già in passato hanno rivendicato l’origine della pietra, lascito dell’impero Moghul.  

Da Buckingham Palace non sembrano esserci state reazioni ufficiali; il sottinteso dettato a cui la stessa Regina rimase sempre fedele – “mai lamentarsi, mai spiegare” – è stato un must di reale forma e sostanza. Un regale distacco, ma all’occasione modulabile, come aveva raccontato nella sua autobiografia Pietro Annigoni, autore di un celebre ritratto di Elisabetta II realizzato nel 1955, a proposito della sua modella: «Non sente la posa, né pare preoccuparsene. E parla molto. In compenso è gentile, semplice, e non appare mai distante». 

Regalità assoluta e allo stesso tempo popolare, come per effetto di una proprietà transitiva e trasversale a valori, situazioni, oggetti e soggetti. Anche Lady Diana, la “Principessa del popolo” da sempre nei cuori degli inglesi, aveva impresso i tratti di una tendenza una volta entrata a far parte della famiglia Windsor. Praticamente un altro mito che lo scorso agosto ha visto in primo piano la sua auto personale: una Ford Escort RS Turbo da lei guidata per usi domestici. Alla stregua di una semplice utilitaria aggiudicata all’ennesima asta per 650.000 sterline. Più recentemente al centro della cronaca c’è stata una croce di ametiste e diamanti, creazione della casa Garrard e sfoggiata dalla Principessa del Galles nel 1987 a un evento di beneficienza, battuta da Sotheby’s a 163.800 sterline. Se l’è assicurata Kim Kardashian, Vip americana del piccolo e grande schermo. Kristian Spofforth, specialista della citata casa d’aste per la gioielleria, ha così commentato su Instagram il valore aggiunto della vendita: «Siamo felici che questo pezzo abbia trovato una sua nuova prospettiva di vita nelle mani di un altro nome famoso a livello globale».    

Elisabetta II, il suo mondo e le regali rappresentazioni restano saldamente ancora sul trono della popolarità come tesori tangibili ed emozionali; per il successore, Carlo III, sembra invece che l’aura regale sia ancora appannata. Inevitabile il riferimento a un controverso episodio su versanti collezionistici con la Regina sempre protagonista, benché suo malgrado. In quel caso fece scalpore una banconota delle Seychelles degli anni ’60, all’epoca possedimento britannico, con l’inserzione di un dettaglio grafico conturbante; svista involontaria o per alcuni deliberato sabotaggio d’immagine, tra le foglie di esotici palmizi si legge infatti la parola “sex” (sesso) posta a ridosso del famoso ritratto a tempera di Annigoni. In anni passati, una di quelle banconote, peraltro ritirate, fu venduta all’asta per l’equivalente di circa 700 euro. E comunque, se ne parla ancora. Per il nuovo re invece, le nuove sterline su carta con il suo volto circoleranno solo nel 2024.