Bce

Diciamo la verità: non tutte le banche sono brave uguali, così come non tutti i gatti sono grigi. Ce ne stiamo accorgendo. Con le crisi bancarie che hanno scosso i mercati, penserete voi. Nossignore: con il bonus del 110% e con i crediti d’imposta che ha generato.

Si sa che le banche s’erano rimpinzate di questi crediti e hanno detto “ora basta”. Avrebbero voluto poterli ribaltare sotto di loro, per esempio sugli F24 dei loro clienti, ma il governo non si è ancora espresso. In queste ultime settimane di caos assoluto, però, qualche banca si è rivelata più pronta di altre.

Gli istituti che assorbiranno i crediti

Il Banco Bpm ha fatto reso noto di avere impegni per “l’acquisto di crediti fiscali già sottoscritti”, che è un modo un po’ burocratico di dare la buona notizia. Anche l’Agricole (cioè in Italia l’ex Cariparma, Friuladria, Carispezia e altro) si è detto pronto a ricominciare con l’acquisto dei crediti dei bonus edilizi non appena sarà definito il nuovo quadro normativo. Bene.

Poi c’è chi, come il colosso del settore Intesa Sanpaolo, ha già fatto tanto – 200 mila pratica, pari a 16 miliardi di crediti da bonus rilevati – ed è, come dire, un po’ sazio: eppure ha forse le dimensioni per ripartire anche lui. E si parla di ripartenze anche per Unicredit e Poste Italiane.

Fermiamoci qui con i nomi perché magari nei prossimi giorni la lista si allungherà e non è giusto mettere qualcuno alla berlina se non è ancora certo che se la meriti.

Chi assorbe i crediti ha gestito bene

Però sia chiara una cosa: poter assorbire crediti d’imposta significa averne in pancia: cioè aver pagato più tasse di quanto si sarebbe dovuto, avendo fatto molti utili: quindi quelli bravi hanno più crediti d’imposta col fisco! Secondo l’Agenzia delle Entrate dovrebbero esserci nelle pance delle banche italiane circa 17,4 miliardi di euro di “spazio fiscale”… ma non distribuiti equamente tra tutti. Quelle brave ne hanno di più.

In un momento in cui il settore creditizio mondiale – cioè: quello del mondo occidentale, che rappresenta un quinto del mondo inteso come persone ma ancora una metà del mondo come quattrini – trema per le crisi americane, svizzere e da venerdì anche per la crisi della tedesca (cioè europea!) Deutsche Bank, riflettere sul fatto che ci sono banche gestite bene ed altre gestite male è obbligatorio, oltre che saggio.

E’ saggio perché per i propri affari è meglio scegliere quelle ben gestite; e figuriamoci per investirci dei soldi. Chi è cliente di una banca florida, può cederle i suoi crediti da bonus. Chi è azionista di una banca florida, intascherà buoni dividendi e guadagnerà sul valore del titolo in Borsa. Chi si ritrova cliente o azionista di una banca moscia, peggio per lui.

Banche con poca meritocrazia

Spiace che le autorità europee, così severe – almeno rispetto alle gemelle americane – nel presidiare i bilanci delle proprie “controllate”, non siano state particolarmente severe negli ultimi anni verso i banchieri che hanno fatto corbellerie. Si sa, cane non mangia cane, ma non è un bel vedere. E soprattutto, se è vero che la ferrea vigilanza della Bce sulle banche europee ha sortito l’effetto di renderle più forti di quelle americane (con l’eccezione della Deutsche Bank, scandolosamente protetta dalla “sua” banca centrale, la Bundesbank, che ha fatto muro attorno ad essa nella sede della vigilanza europea) ha anche avuto un effetto collaterale: scarsa concorrenza, scarsa mobilità tra top-manager. Il mercato dovrebbe essere quella cosa che screma i brocchi. Nella realtà, spesso li premia.