Coronavirus, quali contraccolpi al Made in Italy?

L’annuncio nei giorni scorsi di Donald Trump – “ci aspettano due settimane molto dolorose” – è la definitiva resa al Coronavirus anche di un Paese che fino ad ora aveva cercato di ridurne l’impatto. Il cannone da due trilioni di dollari imbracciato dalla Fed e dall’amministrazione americana darà un po’ di respiro una volta tornata una parvenza di normalità. Ma fino ad allora? Come proteggere le aziende che operano negli Stati Uniti, in particolare le griffe storiche del Made in Italy? Lo abbiamo chiesto a Giovanni Spinelli, l’avvocato di New York managing partner di Pavia & Harcourt, lo studio legale che tra i suoi clienti vanta Valentino, Ferragamo, Buccellati e D&G e che ha sede al 24esimo piano del Helmsley Building, il prestigioso palazzo a Midtown Manhattan opera degli stessi architetti della vicina Grand Central.

Avvocato che succederà adesso alle aziende italiane negli Stati Uniti?

In mezzo ad un panorama incerto ed in continua evoluzione, ci potrebbero essere notizie positive per le nostre imprese in America, quanto meno per il breve periodo.  Stiamo infatti valutando quali aziende potranno beneficiare dell’enorme manovra fiscale varata la settimana scorsa, Il CARES Act, la quale prevede, ad esempio, finanziamenti della Small Business Administration che fornirà alle piccole e medie imprese (aziende con meno di 500 dipendenti) prestiti agevolati (parzialmente a fondo perduto o con scadenza decennale e tasso fisso al 4%). In questi giorni di lockdown quasi totale, stiamo assistendo i nostri clienti nelle decisioni chiave riguardanti l’ottenimento di tali agevolazioni, le chiusure di uffici e negozi, e nella gestione delicatissima dei rapporti con i landlords americani (da notare che li concetto di “forza maggiore” negli USA in pratica opera solo a favore del proprietario).

Come saranno i prossimi mesi?

Al di là di ciò, le nostre aziende dovranno affrontare un trimestre di mancati ricavi ma se, come tutti sperano la pandemia potrà essere debellata (o quantomeno mitigata significativamente) prima dell’estate, ci si attende infatti una ripresa dei consumi nel terzo trimestre dell’anno che dovrebbe favorire le imprese italiane che producono negli Stati Uniti così come quelle che esportano verso questo paese. Quelle che producono beni di consumo, soprattutto durevoli, potrebbero beneficiare di un effetto di recupero volto a compensare i mancati consumi dei mesi precedenti. Ma naturalmente non saranno mesi facili per nessuno.

Il nostro Made in Italy quali contraccolpi avrà? E cosa fare per proteggerlo?

Non ci aspettiamo contraccolpi per il Made in Italy differenti da quelli del resto del settore produttivo USA. Anzi, settori come quello alimentare, dove noi siamo molto forti, sono tra quelli meno esposti alle oscillazioni della domanda, anche se in situazioni come quella attuale nessuno può considerarsi immune dalle conseguenze della crisi. Anche i beni di lusso sono favoriti dal fatto che i consumi delle categorie più benestanti sono quelli che si riprendono prima dopo le crisi. Più difficile la situazione per le imprese che producono beni di investimento data la stasi degli investimenti anche nel periodo precedente la crisi. Le nostre autorità hanno saputo minimizzare in passato gli effetti delle restrizioni commerciali sull’export italiano e questo dovrebbe costituire un buon punto di partenza.

Quali le azioni da intraprendere una volta che la pandemia coronavirus sarà sotto controllo?

In un mondo in cui la globalizzazione ha subito una battuta d’arresto – sia per le tensioni commerciali sia ora per l’epidemia di coronavirus – anche le imprese italiane dovranno adattare le filiere produttive ai nuovi rischi per evitare che shock improvvisi in determinate parti del globo possano portare al blocco della produzione. Questo tuttavia riguarda più la fase della produzione che quella della commercializzazione. Quest’ultima,  è stata gestita molto professionalmente negli anni passati e va continuata con la stessa determinazione del passato.

Che mondo ci aspetta?

È difficile pensare ad una dimensione della vita economica o sociale che non verrà impattata in modo permanente da questa crisi.  Vi saranno cambi strutturali nella politica economica globale con interventi statali di proporzioni totalmente inconcepibil sino a pochi mesi fa. Ci troveremo in un mondo estremamente fluido ed imprevedibile, e tale stato di incertezza durerà per molti mesi ed anni dopo la soluzione della crisi pandemica. 

Come cambieranno i consumi?

Da un lato le abitudini dei consumatori saranno sicuramente plasmate in modo irreversibile dalle esperienze di clausura e forse da un generico timore di essere nuovamente a contatto con il pubblico (ci sarà una recrudescenza del virus?  Ci saranno altre epidemie?). Dall’altro ci sarà un desiderio collettivo di celebrare nuovamente la socialità e la convivialità.  Ci sarà anche da parte di molti un ripensamento delle priorità:  lavorare, educare, socializzare, vestire, viaggiare e consumare in modo più selettivo e sicuramente diverso.  Molte forme di interazione potrebbero cadere in disuso: potremmo sentire meno il bisogno di lavorare negli uffici, di partecipare a riunioni e conferenze, di viaggiare per affari e privilegiare invece il virtuale in pressoché ogni dimensione della vita economica e sociale.  Le aziende italiane dovranno cercare di prevedere e comprendere a fondo tali mutamenti per poterne ricavare dei vantaggi competitivi nel loro settore di mercato.  Sicuramente una priorità assoluta per le aziende italiane dovrà essere il potenziamento ulteriore delle capacità di e-commerce, prestando attenzione a nuove modalità B2B e B2C che stanno nascendo in questo periodo e che potrebbero acquistare di colpo una rilevanza preminente.

Quando finirà la crisi?

Non occorre però aspettare che termini la crisi: le aziende italiane debbono agire ora, proattivamente, per sprigionare la creatività ed abilità inventive che da sempre costituiscono il nostro valore aggiunto per il mondo… nel design, nell’industria, nella logistica, nell’arte, nei servizi.  Dal silenzio di queste settimane e mesi nasceranno sicuramente le idee migliori.  Occorre sfruttare quindi le nostre doti più tipiche, ma occorre prestare attenzione:  se non combinate con altri elementi essenziali, tali doti serviranno a ben poco.  Le parole chiave sono quindi sì creatività ed inventiva, ma occorre anche estrema flessibilità, rapidità decisionale, tenacia e … coraggio.  Coraggio sopratutto per superare la nostra connaturale avversione al rischio d’impresa e alla generica paura di sbagliare.

Che cosa pensa delle aziende che si reinventano? 

In questa fase occorre anche cambiare genuinamente prospettive.  In Inghilterra, Dyson ha disegnato un ventilatore in dieci giorni e lo sta facendo produrre… In questo momento sono le aziende che focalizzano sul come “servire”, senza preoccuparsi tanto del proprio tornaconto immediato, che emergeranno come leader, particolarmente se vengono riconsciute come portatrici di innovazione e positività. 

Com’è vista l’Italia dall’estero? 

L’Italia, primo paese europeo ad essere colpito dal virus, ed il Made in Italy, avranno sicuramente subito un calo d’immagine iniziale.  Adesso però che il virus si è purtroppo diffuso a livello globale, v’è la speranza che nella coscienza collettiva rimangano impresse le immagini più positive del nostro paese:  l’emotività genuina e senza imbarazzo, la solidarietà, la creatività e l’umanità degli italiani nel superare delle difficoltà sconosciute in Occidente da molte generazioni.  Insomma, il Bel Paese nel suo momento più brutto e più difficile è pur sempre l’invidia di tutto il mondo.