Quelli che ridefiniscono il concetto di “impossibile” con il firewalking camminando sui carboni ardenti; i malati di sfide che rideterminano le chiavi del successo conquistando nuove vette… letteralmente: in cordata sull’Himalaya oppure lanciandosi da grattacieli o immergendosi negli oceani; quelli che, in sostanza, “vi spiego io come si sta al mondo, diffidate dalle imitazioni”. Santoni, guru, opinionisti proliferano e per districarsi nel panorama del coaching servirebbe un navigatore. O meglio, un “navigato”, uno che il business coach lo fa sul serio da prima che diventasse moda. «Sono un coach tecnico, non vado sul palco a far saltare la gente o a promettere risultati miracolosi», esordisce Mario Alberto Catarozzo (nella foto).
Giurista, ancor prima che formatore: dopo la laurea in Giuriprudenza (con 110 e lode) s’è dato alla comunicazione e all’editoria, curando progetti editoriali area tax&legal per Alpha Test, Maggioli, Il Sole 24 Ore. Poi, la passione l’ha portato a proseguire il suo percorso formativo, con la programmazione neurolinguistica (discipina sulla comunicazione e crescita personale al tempo stesso) con specializzazioni in Pnl e la qualifica di Npl Coach rilasciata dalla Nlp Society di Richard Bandler: «Mi sono formato presso le migliori scuole di coaching internazionali», racconta. Quattro anni fa ha fondato MYPlace Communications, (www.myp.srl), a cui si rivolgono studi professionali e aziende del calibro di Merck, Bayer, Dentons, Tyco, Inaz, Ktm, Crédit Agricole, Tim, Confcommercio, Umana, Adecco, il Sole 24 Ore e organizzazioni come la Fondazione Studi Consulenti del lavoro, Asla, Confcommercio e Università come Bbs (Bologna Business School) e Università di Padova… «Accompagno i professionisti e i manager nei loro processi di sviluppo, individuali e di organizzazione», spiega a Economy. «In questi anni in cui i cambiamenti sono repentini e radicali, le persone abituate a pensare sempre nello stesso modo si sentono perse, non capiscono cosa stia succedendo né come organizzarsi. Vogliono riqualificarsi, rimettersi in pista, riprendere in mano l’azienda o semplicemente cambiare vita».
Mario Alberto Catarozzo: «Sono un coach tecnico, non ho bisogno di andare sul palco a far saltare la gente. Mi concentro invece su un coaching più concreto»
«Il mio mondo è un circolo virtuoso: parto spesso dal coaching, ma poi approfondendo i miei clienti capiscono di aver bisogno di integrare competenze che non possiedono». Comunicazione, negoziazione, leadership, coaching, public speaking, conflict management, gestione dei collaboratori diventano skills essenziali. «Poi arriva il momento di guardare fuori dall’azienda, per promuoversi». E scatta l’esigenza di approfondire tematiche di marketing, branding, promozione, business development. L’offerta di Catarozzo si articola su tre linee di servizi interconnesse tra loro: formazione, coaching e consulenza. «La formazione è la trasmissione di know how sulle soft skills, trasmette strumenti, contenuti, tecniche e principi per arricchire la propria cassetta degli attrezzi», spiega Catarozzo. «Un tempo le soft skills erano complementari a quelle hard, alla formazione universitaria, ma oggi tutto quello che riguarda la comunicazione, la negoziazione, il public speaking, la gestione del tempo e dello stress, la motivazione, la leadership, la gestione dei collaboratori è parte integrante di ogni figura professionale. Io lavoro in particolare con avvocati, commercialisti, notai e consulenti del lavoro. In qualunque ambito business puoi essere bravissimo, se però non sai comunicare, lavorare in team, avere una progettualità, ecco che le competenze hard servono a poco». Ed è inutile sviluppare soft skill, se poi non si osa metterle in atto. Ecco l’importanza del coaching, in cui l’individuo (ma anche il team) viene affiancato nel proprio processo di sviluppo personale e professionale.
«Si lavora su tre momenti: chiarezza, focus, azione», spiega ancora Catarozzo. «Prima si fa chiarezza circa gli obiettivi che ti poni, sulle risorse necessarie per raggiungerli, sul piano di azione. Poi si passa alla fase focus e ci si dedica step by step a ognuno degli obiettivi individuati. La terza fase è quella dell’azione, del “fare, non parlare”. Il coaching è un processo di sviluppo che lavora sulla mentalità. Non per niente il “ciclo del successo”, inteso come participio passato del verbo “far succedere”, quindi “far accadere”, include quattro passaggi: come penso determina come sto, che determina i comportamenti che tengo, che determinano i risultati che ottengo, che a loro volta influenzano il come penso. Il coach parte dall’idea che tu vai bene come sei: non sei tu in discussione, ma devi lavorare sulle strategie che metti in atto per raggiungere i tuoi obiettivi. Non sei tu a essere sbagliato: lo sono le tue strategie». Nel coaching, in sostanza, non esiste il giudizio, ma la distinzione tra modo di agire funzionale o disfunzionale rispetto agli obiettivi che ci si pone.
Tutto questo, senza la consulenza, avrebbe poco senso. Ecco perché quattro anni fa Catarozzo ha raccolto professionisti senior, tutti – come lui – con un quarto di secolo di esperienza alle spalle mettendo in piedi MYPlace: «Facciamo incontrare il mondo professionale del diritto con la comunicazione e il marketing. Facciamo parlare due mondi che erano separati. Lavoriamo anche con moltissime aziende, dalla piccola del bresciano alla multinazionale, dallo studio piccolo al più grande al mondo. Affianchiamo lo studio e l’azienda soprattutto sul web: dal sito al progetto di comunicazione, dal posizionamento al social media management. Non ci limitiamo a portare ai clienti tecnologia e nuovi processi: il nostro obiettivo è di migliorare la qualità della vita dei datori di lavoro, dei loro collaboratori, dei loro clienti: ognuno deve imparare a prendersi cura del sistema perché il sistema si prenda cura di lui. Le persone più serene e meno stressate lavorano meglio e forniscono al cliente un servizio migliore». È l’approccio giapponese del kaizen, il miglioramento continuo a piccoli passi: «ci si prende cura di ciò che già funziona per farla funzionare meglio».
L’offerta di servizi è ampia: dalla formazione a catalogo, con master e mini master, a progetti tailor made costruiti in base alle esigenze del cliente, dal coaching one to one nello studio di via Cadore 26 a Milano alle sessioni tramite Skype, passando per il team coaching presso aziende e studi.
«La più grande soddisfazione», conclude il formatore «è vedere negli occhi del cliente lo scatto del cambiamento, quando si vede che l’ha introiettato. Per Timothy Gallwey, il padre del coaching, la performance è data dalla differenza tra la potenzialità e le interferenze, che sono principalmente mentali. Pensiamo che i nostri limiti siano oggettivi: dove abito, quanti soldi ho, che conoscenze, quali studi, ma in realtà le uniche vere interferenze importanti sono come pensiamo: non posso farcela, è impossibile, non me lo merito. Siamo noi che ci limitiamo».