Altro che ripresa a

Quel grande economista che fu Gesù Cristo – che non poneva il denaro ma l’uomo al centro dell’economia – nella parabola dei talenti ha descritto quel che gli italiani non devono fare e purtroppo invece fanno, col loro denaro: cioè il nulla. Se lo tengono lì, fermo nei conti correnti, a non rendere e anzi a svalutarsi. Milletrecentosettantuno miliardi di euro accumulati nei conti bancari, a far nulla.

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Ricordiamola quella parabola, in breve: c’è un possidente che, partendo, affida a tre suoi servitori rispettivamente 5, 2 e 1 lingotti d’argento, con l’incarico di farli fruttare. Ma mentre i primi due, al ritorno del padrone dopo molto tempo, potranno esibirgli i guadagni maturati investendo i lingotti ricevuti, il terzo non può che restituirgli – intatto ma non accresciuto – il bene ricevuto. E a modo suo spiega perché: “Sapevo che sei un uomo duro, esigente, arbitrario, che fa ciò che vuole, raccogliendo anche dove non ha seminato”. Insomma gli dice: non mi fidavo di te, e non ho voluto correre rischi. Ma il padrone si arrabbia molto e butta fuori il servo fannullone.

Usciamo dalla metafora. Ci fidiamo dei Cinquestelle? Ci fidiamo della Lega? Ci fidiamo del Pd? Di Forza Italia? Di tutti i vari altri partiti e partitini che costellano, e non decorano, la vita politica italiana? No, o quantomeno nessuno se ne può fidare del tutto. Ma non è una buona ragione per tenere fermi i nostri soldi.

Nel momento in cui questo numero di Economy viene chiuso, le nuvole più nere si addensano sull’economia italiana. Le statistiche dimostrano che è in corso una frenata del Pil. Le agenzie di rating potrebbe declassarci o almeno peggiorare le loro attese. Si paventa come ormai quasi inevitabile una manovra bis che vanificherebbe anche le misure di sviluppo – già di per sé molto più timide delle promesse elettorali – contenute nella legge di bilancio. E resta possibile, dopo le Europee, una crisi di governo.

E allora? Vogliamo restarcene qui fermi, a sfogliare la margherita del nostro disagio e della nostra sfiducia? Così da assistere inerti allo svalutarsi delle nostre risorse? Che senso ha? Intanto che la politica cerca (se li cerca!) nuovi equilibri, in Italia come nel mondo, diamoci da fare. Non dormiamo sul risparmio racchiuso sterilmente nei cassetti. Di risparmio sterile si può anche morire. Facciamo impresa, prendiamo iniziative, facciamo leva sui nostri talenti.

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In questo numero, Economy prova a dare tre spunti umili eppure ambiziosi, in quest’ottica. Il primo è quello raccontato dalla nostra coverstory: le pari opportunità tra i sessi nel mondo del lavoro. Non devono essere viste come una concessione maschile al mondo femminile: sono interesse di tutti. Le aziende che accolgono molte donne ai propri vertici rendono meglio. Si aprono ai contributi intellettuali di tutti, e non solo di una metà del mondo. Dovrebbe essere un’ovvietà, ma c’è invece  tale e tanta arretratezza in materia – perfino nella pseudo-moderna Silicon Valley – che non bisogna mai smettere di predicarla, quest’ovvietà.

Il secondo spunto: far crescere la propria attività anche quando l’economia non cresce. Si può. Gli italiani lo hanno sempre fatto, meglio degli altri. E nell’“altra coverstory” di questo numero spieghiamo come.

Infine: Federmanager annuncia una partnership editoriale con la nostra testata che rafforza un rapporto già per noi prezioso e  interessante per i nostri lettori. Perché? Perché mai come in quest’epoca di cambiamenti informarsi, e bene, è il presupposto di tutto. E buon lavoro a tutti noi.

LA TUTELA DEI DEBITORI, UNA COSA BUONA FATTA DAL GOVERNO CASINISTA

Nel bailamme degli annunci quotidiani e delle polemiche orarie, si fa fatica a discernere alcune cose buone che il governo Gialloverde sta facendo. Tra queste merita una segnalazione la legge 135 del 14 dicembre che – come sottolineano gli attivisti dell’Associazione Favor debitoris – riequilibra un po’ i rapporti tra creditori e debitori in materia di esecuzioni immobiliari di sfratto. La normativa voluta dal governo Renzi aveva raggiunto vette di severità tracimanti nella crudeltà. Eloquente il caso di una malata terminale di Sla che era stata sloggiata dalla sua casa molti mesi prima della eventuale vendita della stessa e costretta a separarsi dal figlio 14enne per la legge 119 del 2016 che legittimava la liberazione forzata di un apparamento in ogni caso, “al fine di assicurare una migliore conservazione dell’immobile e una più intensa tutela dell’interesse dei creditori”. Oggi non funziona più così. Il famigerato “caso Bramini” – l’imprenditore brianzolo fallito a causa di 4 milioni di crediti non pagatigli da un’amministrazione pubblica! – non dovrebbe più potersi ripetere. Per cui il debitore può rimanere nella sua casa sino al decreto di trasferimento. E se l’immobile verrà venduto potrà trovarsi con i tempi necessari un immobile in affitto. Lasciando intanto al custode giuziario il diritto di visita per mostrare il bene ai compratori possibili e di rivolgersi al Giudice delle esecuzioni per sloggiare il debitore, qualora egli non mantenga bene la casa pignorata. La legge 119 era stata voluta dal governo Renzi, teoricamente di sinistra. La legge 135 l’ha fatta l’attuale governo sovranista e populista, ma sostanzialmente casinista. Ma meno male che l’ha fatta. (s.l.)