L’elevata letalità del Coronavirus in Lombardia potrebbe essere favorita dal forte tasso di inquinamento atmosferico, che ha ripercussioni proprio sul sistema polmonare che viene colpito dal virus pandemico. È l’ipotesi avanzata in questa intervista da Valerio Rossi Albertini, fisico del Cnr nonché divulgatore scientifico televisivo. Rossi Albertini sottolinea anche il ruolo cruciale di boschi e foreste nel contenimento dell’inquinamento atmosferico, e mette in evidenza come eventi distruttivi estremi provocati dal riscaldamento globale quali la tempesta Vaia di ottobre 2018 possano abbatterne migliaia di ettari.
L’elevata letalità in lombardia si spiega solo in parte con l’età della popolazione: l’inquinamento è un fattore decisivo
Rossi Albertini, crede che possa esserci una relazione tra il climate change e la pandemia da Coronavirus?
La mia ipotesi è che un ruolo importante potrebbe averlo non tanto il climate change, quanto il suo fratello cattivo, cioè l’inquinamento aereo dovuto alle produzioni industriali e alle attività umane, che oltre all’anidride carbonica immettono nell’atmosfera anche altre sostanze nocive, dal particolato agli ossidi di azoto a tutti i gas che abbiamo imparato a conoscere. Non penso che, come è stato ipotizzato, i virus se ne vadano a spasso a cavallo delle particelle sottili come il barone di Munchausen, diffondendosi anche su lunghe distanze: mi sembra un’ipotesi molto fantasiosa, non verosimile sulla base dei dati sperimentali. Ma siccome sappiamo che i soggetti più vulnerabili al virus sono quelli che hanno sviluppato anche altre patologie, quello che viene chiamato con un brutto inglesismo la comorbilità, in un ambiente con una forte contaminazione aerea, che quindi ha le sue ripercussioni soprattutto sul sistema polmonare, allora sì che è verosimile che un virus che scatena proprio una sindrome polmonare possa averne vantaggio. Quindi potrebbe non essere così peregrina l’ipotesi che lo scatenamento del Coronavirus in Lombardia sia anche in parte non dovuto, ma favorito dalla condizione di inquinamento della Val Padana, che è la zona più inquinata d’Europa.
Si spiegherebbe così l’elevata letalità registrata in Lombardia?
In effetti la percentuale di decessi sui contagiati è molto alta, siamo al 10%, 5 volte quella cinese. Naturalmente questo in parte è perché la nostra popolazione è più anziana. Ma non si può invocare il fatto che non siano stati fatti tamponi, perché il decesso da sindrome da Coronavirus è un dato certo indipendentemente dal fatto che si siano fatti o meno i tamponi. Se guardiamo la progressione dei decessi, vediamo che abbiamo avuti molti più morti che in Cina. Quello che si può dire con certezza è che in Lombardia, in un certo bacino con un certo numero di persone, i decessi sono tanti, così come sono tanti i casi che hanno richiesto l’intervento in terapia intensiva, più numerosi di quelli cinesi. Questo probabilmente perché Wuhan è una provincia che avrà il suo inquinamento senz’altro, ma non confrontabile con quello dei grandi centri industriali come Pechino e Shangai; e così da noi, ci sono stati focolai altrove ma non confrontabili con quello della Val Padana, per esempio nelle Marche e in Umbria.
C’è un rapporto tra inquinamento e livello di efficienza del sistema immunitario?
Dovranno esserci studi specifici per confermarlo, ma tutta l’evidenza ci dice di sì. Per lo stesso motivo per cui quando si ha l’influenza il medico prescrive anche gli antibiotici. A che servono, a combattere il virus influenzale? No, non hanno nessun effetto sulla causa principale: evitano che i batteri diventino più aggressivi a causa del calo delle difese immunitarie dovuto all’aggressione virale. Ogni volta che un organismo non è in perfetta efficienza, è più vulnerabile. Quindi l’ipotesi che in un ambiente malsano attecchisca la malattia è un’ipotesi molto più che verosimile, è un’ipotesi che cerca soltanto una conferma ulteriore ma già di per sé stessa è corretta.
Vogliamo ricordare le cause principali del forte inquinamento in Val Padana?
Le attività industriali, il riscaldamento domestico e la circolazione dei veicoli. Siccome la Val Padana è la zona più industrializzata d’Italia, i trasporti sono molto attivi, c’è un passaggio costante di veicoli soprattutto pesanti, diesel molto inquinanti; poi è fredda, quindi c’è bisogno di riscaldamento intenso. Gli impianti di riscaldamento, i veicoli e le industrie non si sono adeguati non tanto alle normative, assolutamente inadeguate alla necessità di contenere l’inquinamento al di sotto di valori accettabili, quanto ai criteri che dovrebbero governare la produzione industriale, i trasporti e i riscaldamenti nel 21° secolo. L’effetto è che c’è una cappa costante permanente di sostanze inquinanti che aleggia sulla Val padana: la notizia è invece che adesso a causa delle restrizioni si sta cominciando a respirare. Se si vanno a vedere le immagini del satellite Galileo per le rilevazioni terrestri degli inquinanti ci si accorge che la cappa si sta dissolvendo. Che non si invochino dunque delle giustificazioni astruse, siamo noi ad inquinare l’aria e siamo noi che possiamo purificarla smettendo di procedere come abbiamo fatto finora, con attività che sono tutte inquinanti, anche e soprattutto perché adesso l’alternativa è possibile. Ci sono fotografie bellissime dei canali di Venezia, l’acqua è ridiventata limpida e cristallina. Un’ulteriore dimostrazione che noi abbiamo bisogno della natura, ma la natura non ha affatto bisogno di noi, anzi…
I boschi purificano l’aria, la filtrano e quindi sono in grado di contenere gli effetti più gravi dell’inquinamento
Qual è l’importanza di boschi e foreste nel contenimento dell’inquinamento dell’aria?
Fondamentale. Boschi e foreste hanno come prima funzione sulle emissioni che producono il riscaldamento globale di sottrarre l’anidride carbonica all’atmosfera, e di fissarla. Gli alberi sequestrano, questo è il termine che viene usato, il carbonio che altrimenti se ne va a spasso e produce quel velo che provoca l’effetto serra; ma anche altre sostanze inquinanti. Di più: gli alberi si sacrificano, in un certo senso, perché catturando le polveri sottili e assorbendo gas nocivi essi stessi ne patiscono le conseguenze. Nell’economia complessiva dell’ecosistema, purificano l’aria, la filtrano, quindi contengono gli effetti che sarebbero ancora più gravi dell’inquinamento.
Un tempo c’erano più boschi in Val Padana?
Storicamente era tutta una foresta quasi ininterrotta, boschi e foreste. Poi c’è stato un disboscamento più o meno selettivo. È accaduto anche in Veneto, Venezia ha abbattuto intere foreste per la sua flotta, e non si andava troppo per il sottile, se c’era la guerra con i turchi o i genovesi si abbatteva tutto. Dopodiché, proprio memori del fatto che i boschi sono una risorsa necessaria e indispensabile, ci furono una serie di provvedimenti che limitavano le zone in cui era prelevato il legname. Questo è un concetto molto antico, che però non è stato applicato ovunque. Chi ha sviluppato questa sensibilità nei confronti dei boschi ha fatto sì che alcuni fossero intoccabili, oppure che fossero sostenibili: il prelievo del legname non era così intensivo da non consentire alla foresta di rigenerarsi. Altrove non è stato fatto niente di tutto questo e c’è stato l’effetto Isola di Pasqua: è stato abbattuto tutto quanto. Al mondo il 50% delle foreste sono state abbattute, siamo a metà del lavoro. A questo proposito, poi, il global warming può avere un effetto diretto, purtroppo.
In che modo?
Attraverso fenomeni meteorologici estremi dovuti al riscaldamento globale, quali la tempesta Vaia di fine ottobre 2018, che ha distrutto oltre 41mila ettari di boschi con venti che hanno superato i 200 km/h. Tutto quello che contribuisce all’abbattimento degli alberi mette a rischio la loro funzione di cattura della Co2 e di purificazione dell’aria.
Riciclare conviene
Quasi un milione di tonnellate di CO2, circa il 2% del totale prodotto in Italia. È il beneficio per l’ambiente, e in particolare per i livelli di inquinamento atmosferico, del riciclo degli imballaggi di legno effettuato ogni anno da Rilegno, il Consorzio nazionale per il recupero e il riciclo degli imballaggi di legno, secondo la stima del Politecnico di Milano. Un esempio di economia circolare che funziona davvero: nel 2018 Rilegno ha raccolto e avviato a riciclo 1.932.583 tonnellate di legno, con un aumento del 7,74% rispetto al 2017. E mentre l’Unione Europea ha fissato come obiettivo per il riciclo degli imballaggi di legno il 30% al 2030, l’Italia è già oggi al 63%. «Da diversi anni ormai registriamo un costante aumento dei volumi di legno riciclato» dice Nicola Semeraro, presidente di Rilegno, «questo grazie anche alla capacità del sistema di aumentare il numero delle piattaforme aderenti al network, così come di coinvolgere sempre più Comuni attraverso le convenzioni per la raccolta differenziata». Gran parte del legno riciclato è costituito da pallet, imballaggi industriali, imballaggi ortofrutticoli e per alimenti. La filiera è basata su 2mila consorziati, 416 piattaforme di raccolta private, capillarmente diffuse sul territorio, 13 impianti di riciclo; 642.470 tonnellate provengono dalla raccolta urbana realizzata attraverso le convenzioni attive con 4.541 comuni convenzionati, per un numero di abitanti che supera i 42 milioni.