Per mesi e mesi gli addetti ai lavori hanno discusso su quanto sarebbe costata ai contribuenti italiani la garanzia pubblica del Fondo Centrale di Garanzia. Per come era stata strutturata (garanzia crescente al decrescere del merito creditizio dell’azienda e comunque generosa, nell’ordine dell’80%), tutto lasciava pensare che i costi sarebbero stati elevati. Non è stato così, almeno a tutt’oggi. La buona notizia, ci dice Kpmg commentando i dati del Mef, è che i costi della garanzia per il Fondo Centrale di Garanzia si sono rivelati, tutt’oggi, limitati: circa 6 miliardi di euro su 170 miliardi di prestiti garantiti. Il sospiro di sollievo che ne è seguito è stato condiviso da tutti gli operatori del settore, Mef in primis.
Guardando al futuro, le linee direttrici che il Mef proporrà non sono ancora note nei dettagli, ma tutto lascia pensare ad aggiustamenti solo marginali della policy attualmente in essere. Le notizie positive che ci provengono dal passato – le insolvenze tutto sommato basse e la superficiale sicurezza che nulla cambierà a breve – non ci devono, però, impedire di riflettere su quali sono gli effetti di second’ordine di tante, certamente gradite, garanzie che lo Stato ha esteso alle imprese, specie le Pmi.
Il primo effetto, certamente non voluto ma sicuramente presente, è che molte banche e molti operatori del credito hanno disimparato a fare credito. Anche se Banca d’Italia ha sempre indicato che il merito di credito deve nascere dai fondamentali dell’azienda finanziata e non dalle garanzie, è stato molto comodo per tutti sapere che qualsiasi prestito alle Pmi veniva garantito, entro un plafond massimo, dallo Stato. Le competenze di credito si sono affievolite.
“Ma perché devo dare crediti non garantiti se ho ancora una quantità infinita di crediti garantiti che posso ancora fare?”, era, spesso, il pensiero dei banchieri. Dopo i tanti aspetti positivi delle garanzie pubbliche, la prima negatività ha riguardato le Pmi che, crescendo di più, avevano bisogno di credito oltre il plafond concesso dal Fondo. Ottenere crediti oltre il plafond e quindi non garantiti è stata per quasi tutte le aziende in forte crescita una impresa ardua.
Il secondo effetto, divenuto più chiaro nel corso del tempo, è stato l’abbassarsi della barriera competitiva delle banche tradizionali nei confronti delle nuove banche e delle fintech. In assenza di garanzie la banca tradizionale aveva il clamoroso vantaggio di conoscere meglio il cliente. Ma con la garanzia dello Stato all’80% questo vantaggio si è molto assottigliato. Brutto da dirsi, ma la garanzia vale di più della conoscenza. Gli attackers, dal lato loro, hanno fatto valere una struttura di costi più bassa, una organizzazione disegnata per dare risposte più rapide al cliente e, nella maggioranza dei casi (questo le “non banche”) l’assenza quasi totale dei costi di capitale.
Da questo punto di vista occorre fare una osservazione: come pensano le banche tradizionali di tornare competitive nel servizio alla clientela Pmi? Come abbassare i costi del servizio? Come dare servizi più rapidi? Le risposte, a tutt’oggi, non sono chiarissime. Eppure, si tratta di un segmento di mercato strategico per il sistema bancario. E per il Paese. Oggi le fintech e le banche attacker spadroneggiano e la loro quota di mercato è in continua crescita: forse è bene così. È però anche bene che i Ceo delle banche si pongano il tema. In media le banche non danno in outsourcing neanche l’acquisizione dei nuovi clienti Pmi e tengono in piedi Uffici Sviluppo poco produttivi. È giusto?
Andiamo avanti, perché il terzo punto è ancora più importante. Riguarda la mancanza assoluta di coordinamento tra tutti i meccanismi di incentivazione delle aziende attualmente in essere. In area finanza agevolata e a fondo perduto operano Stato, Regioni, Provincie ed altre importanti organizzazioni preposte allo sviluppo. In un qualsiasi momento di tempo possono essere attivi, nel nostro Paese, circa 800 bandi, che nel corso del tempo nascono, muoiono e si ripropongono in forme diverse. Poi ci sono le leggi di sostegno all’occupazione. Poi le leggi di stimolo in tema energia, ambiente, innovazione e tanto altro. Poi ci sono (questo per fortuna) Invitalia, Sace e Fondo Centrale.
La domanda è chiara: c’è una logica in tutto questo? C’è un obiettivo prevalente? C’è un controllo di cost – effectiveness di queste facilitazioni? Quanto sono incentivanti le misure che rimborsano investimenti già fatti o spese già sostenute?
Questo Governo ha un compito importante da svolgere per assicurare che il denaro del contribuente sia ben speso. Scordiamoci il passato ma mettiamoci al lavoro!
di Gianemilio Osculati