Appassiona, diverte, fa bene alla salute. Ma fa anche fare soldi: molti soldi. E non solo ai supervip della serie A del calcio: a tutto il Paese, a tutta l’economia italiana. E’ lo sport, il business dello sport. «Ci sono 117 mila occupati nello sport italiano», conferma a Economy l’uomo che lo sport italiano lo rappresenta nel mondo, Giovanni Malagò: «E rappresentano – continua – lo 0,5% della forza lavoro del nostro Paese. L’Italia è seconda solo alla Germania per l’export di prodotti sportivi, per un valore di 1,8 miliardi di euro, con un saldo attivo con l’estero di 240 milioni. Complessivamente lo sport genera un Pil del 1,7%, circa 25 miliardi di euro, mentre il valore della produzione direttamente e indirettamente attivata è pari a 53,2 miliardi di euro. E tutto questo non è solo calcio». No, non è solo calcio: è ciclismo, atletica, sport d’acqua, è milioni di dilettanti che si allenano in decine di migliaia di palestre e di impianti. E tanto, tantissimo, resta ancora da fare: parola del neo-confermato presidente del Coni, che è lo stesso Malagò imprenditore che ha finora sempre avuto successo in tutte le sue attività di business.
L’Italia è seconda solo alla Germania per l’export di prodotti sportivi, per un valore di 1,8 miliardi
Allora, presidente: cos’ha in comune la mentalità dello sportivo con quella dell’imprenditore?
Credo che ci siano molte analogie. Oggi sia il dirigente sportivo che l’atleta di livello non può essere più considerato un appassionato volenteroso. In passato abbiamo avuto nel nostro mondo personaggi di primo piano che si sono dedicati alla gestione di Federazioni e delle società sportive assumendo il ruolo di volontari. Ormai non può più essere così. Oggi i dirigenti sportivi devono saper intervenire sul piano finanziario, fiscale, giuslavoristico, così come ormai l’atleta deve abituarsi sempre più ad avere intorno a sé uno staff di persone che lo seguano non solo per l’allenamento, ma anche per la cura dell’immagine, della salute fisica e mentale, curando ogni particolare movimento da un punto di vista tecnico. Servono nuove idee e nuove strategie di marketing: una mentalità imprenditoriale nello sport è fondamentale. E poi anche il risultato sportivo è frutto di una certa dose di rischio proprio come nel mondo imprenditoriale.
Tra Sa.Mo.Car, Samofin, Mo.Ma.Italia e il colosso Hsbc di cui lei è advisor, i suoi ruoli imprenditoriali sono molti: è un caso che lei sia anche il capo dello sport italiano?
L’abitudine a lavorare in gruppo e per il gruppo fa degli sportivi senza dubbio delle ottime guide ai cambiamenti anche in azienda. Se ne sono accorti già da tempo molti istituti di ricerca del personale. Da alcuni anni il Coni, attraverso la Commissione Atleti, ha stretto accordi con società di interesse internazionale e adersice al progetto dell’Unione Europea “B- WISER (Be a Winner In elite Sport and Employment before and after Athletic Retirement) per valorizzare il percorso dell’inserimento lavorativo degli ex atleti. Inoltre collaboriamo con il Ministero del Lavoro per il progetto “La Nuova Stagione” su base territoriale con le stesse finalità reclutando i partecipanti regione per regione.
Da imprenditore lei ha trasformato il Circolo Aniene di Roma in un modello aziendale efficiente senza rinunciare al blasone e al prestigio. Come ha fatto?
Sono stato per 20 anni presidente di questo glorioso Circolo e sono orgoglioso del lavoro fatto. Avevo 38 anni quando ho assunto la presidenza e da allora ho impiegato tutto il mio entusiasmo, le mie idee e le mie energie per farlo diventare un’eccellenza. Oggi è il Circolo più importante d’Italia, è un ente no profit costituito al 100% da volontari. È stato un cammino lungo fatto di successi sportivi di alto livello, visto che il circolo è affiliato a 17 Federazioni Sportive Nazionali, ma anche di eccellenti momenti culturali e di solidarietà sociale. Anche sul piano finanziario c’è stata una costante crescita da 15 anni: chiudiamo bilanci in utile, diamo lavoro a 250 persone anche attraverso il recente polo natatorio Acquaniene dove praticare gli sport acquatici è possibile sia per Federica Pellegrini e Filippo Magnini che per le ragazze e i ragazzi alla prima esperienza. Dal marzo scorso ho avuto il privilegio di essere nominato Presidente Onorario e c’è un nuovo presidente, Massimo Fabbricini, che sono certo continuerà a raggiungere traguardi prestigiosi.
Consiglierebbe a un imprenditore di fare impresa nel settore dello sport?
Si, ci sono ancora enormi spazi da colmare. Tra i giovani nell’età scolare la pratica sportiva è in crescita ma solo fino ai 14 anni, senza contare il grande divario che troviamo tra il nord e il sud. Lo sport a scuola ha impegnato il CONI in questi anni in maniera rilevante, ma senza un investimento governativo del MIUR i nostri sforzi non potranno mai essere risolutivi. Prima però occorre costruire le strutture. Palestre dove poter svolgere l’attività fisica degli alunni in sicurezza di cui una grande maggioranza di istituti è sprovvista. Per questo è necessaria una collaborazione tra pubblico e privato anche con il contributo dell’Istituto per il Credito Sportivo. Poi c’è lo sport della terza e della quarta età. Attività in grande espansione per l’accresciuta età media degli italiani che oggi si affidano sempre più a soluzioni individuali magari all’aria aperta e con programmi differenziati trovati in rete. Sono certo che ai futuri investimenti si abbineranno anche nuove figure lavorative. Dagli specialisti nella gestione impianti sportivi a tutte le nuove figure che si sviluppano intorno ad un atleta di vertice. Accanto agli intramontabili mestieri tecnici: allenatori, preparatori fisici, massofisioterapisti, si sono andati aggiungendo altri incarichi sempre più influenti come il dietologo, il medico personale, il mental coach. Poi da non sottovalutare troviamo il portavoce, il procuratore o agente, il fiscalista. Naturalmente alcune di queste figure si sommano e le ritroviamo individualmente solo al fianco dei grandi campioni capaci di muovere una quantità di interessi tale da poter sostenere tutte questi interventi. Ma certamente in ogni settore dell’attività sportiva, società, federazioni, omolte di queste figure saranno sempre più necessarie.
Finiamo in bellezza col suo nuovo mandato al Coni. Una sintesi del suo programma?
Innanzitutto mi piace ricordare che il Coni è 385 diverse discipline sportive riconosciute, che sono a vario titolo organizzate dalle 118.812 società sportive affiliate alle 44 Federazioni Nazionali, 19 Discipline Associate, 15 Enti di Promozione Sportiva. Tutto il sistema si regge anche grazie al milione di operatori sportivi, dirigenti, tecnici, ufficiali di gara e altre figure, che collaborano a vario titolo all’interno delle organizzazioni societarie e federali. Io sogno un Coni che sia in grado di creare valore non solo per lo sport ma per il Paese tutto, che sia in grado di tramutare i costi in investimenti, quindi di generare benefici sociali ed economici. Durante il mio mandato, secondo i dati Istat, la percentuale di italiani, sopra i 3 anni d’età, che dichiara di praticare sport con continuità nel proprio tempo libero ha raggiunto il 25,1%, ovvero nel 2016 una persona su quattro ha fatto sport, con un incremento, negli ultimi tre anni, del 4,2%. Ogni punto percentuale di riduzione dei sedentari, porta un beneficio annuo per l’assistenza sanitaria di circa 80 milioni di euro. Il bilancio 2016 del Coni è in pareggio (+ 0,26 € mln). Il valore della produzione è stato pari a 458,1 milioni di euro, di cui oltre il 10% è stato frutto principalmente di attività di marketing e organizzative. Siamo riusciti così a fornire ai nostri stakeholder, prime fra tutte le Federazioni Sportive Nazionali, oltre 289 milioni di euro, pari a circa il 63% del costo totale della produzione. Grazie anche a questi fondi l’Italia ai Giochi di Rio 2016 ha ottenuto 28 medaglie, di cui 8 d’oro classificandosi tra le prime 10 nazioni al mondo.