Il rischio da evitare in tempi di digitalizzazione? Mettere la tecnologia alla guida dell’azienda. Sembra paradossale, ma è proprio così: «C’è il rischio di essere guidati da soggetti che capiscono molto di tecnologia, ma poco di strategie di business e di processo» dice Davide Grassano (nella foto sotto), Head of Management & Technologies di RSM Italia, «quindi di essere guidati dalla tecnologia invece di cogliere le vere opportunità che nascono dalla trasformazione di un mercato molto globalizzato e trasparente». La sbornia di tecnologia rischia di far perdere di vista una sua caratteristica intrinseca: funziona se è al servizio dell’uomo, viceversa può anche provocare danni. «Il vero problema non è nell’uso della tecnologia» insiste Grassano, «ma nel cambiamento delle culture aziendali che non devono essere trascinate, ma al contrario trascinare la tecnologia. In uno slogan, si tratta di mettere una mente al centro». È la filosofia del design thinking, che spinge a ridisegnare l’azienda cercando di capire meglio i bisogni dei clienti per rivedere i processi. Dopo aver impostato la strategia al meglio, solo allora si può decidere in modo proficuo quali sono le tecnologie che possono aiutare a perseguire gli obiettivi in modo più efficace, e che utilizzate in questa prospettiva possono avere un effetto davvero dirompente. Ma che il rischio di mettere alla guida l’automobile invece dell’autista non sia solo un caso di scuola, lo dice la struttura stessa della spina dorsale del sistema produttivo italiano, fatta di aziende di medie dimensioni. «Non sempre le medie imprese sono dotate di un digital officer» osserva l’Head of Management & Technologies di RSM Italia, «che non dev’essere un tecnologo, ma un soggetto che sa coniugare business e tecnologia. Il problema è che la media impresa è troppo guidata da venditori di software, mentre gli advisor che hanno le migliori competenze di norma lavorano di più con le grandi aziende». Alla sovrabbondanza di soluzioni tecnologiche non corrisponde la capacità di capire cosa è davvero rilevante per il tipo di business dell’azienda. Il che riporta anche a un altro tema cruciale, quello della formazione. «Se non insegniamo agli imprenditori come capire la parte più importante della visione strategica, che non è la tecnologia ma il business, non andiamo da nessuna parte» sottolinea Grassano, «corriamo il rischio di distogliere le aziende dalla loro missione. Per avere successo sui mercati non si può delegare alla tecnologia, è necessario che a monte ci siano scelte intelligenti. Bisogna aiutare le aziende a spender bene, a valorizzare risorse e investimenti ». Per fare un esempio, non tutte le imprese nel settore delle macchine utensili, tra i più importanti in Italia, stanno comprendendo il cambio di paradigma in atto e muovendosi di conseguenza.
Solo dopo aver impostato gli obiettivi di business si può decidere quali sono le tecnologie più efficaci per raggiungerli
«Oggi non si tratta più soltanto di fare le macchine» mette in evidenza l’Head of Management & Technologies di RSM Italia, «ma di completarle con sistemi intelligenti che fanno automazione e controllo di processo, usando anche analytics, sensoristica, intelligenza artificiale. in tal modo le aziende possono difendere il core business e crescere». Se oltre al prodotto l’azienda non fornisce i servizi, il suo portafoglio diventa obsoleto, senza contare che anche le strategie di vendita vanno modificate di conseguenza. Per far questo c’è bisogno di risorse specializzate: «Gente che sappia progettare, fare tecnologie di monitoraggio, software» precisa Grassano, «bisogna valorizzare la mente umana in base alle necessità dell’azienda per far sì che la tecnologia non sia uno stress ma che ti aiuti nell’innovazione. Altrimenti si entra in una logica di rincorsa». In teoria sembra semplice, ma la realtà italiana è fatta di aziende che pur ricche di qualità non sempre sono al passo di cambiamenti incalzanti. «Il Paese è caratterizzato da aziende concentrate sul mercato nazionale» rileva l’Head of Management & Technologies di RSM Italia, «spesso alle prese con i rischi legati al passaggio generazionale. Quelle internazionalizzate hanno un po’ più di sensibilità, operando in mondi che conoscono meglio le nuove opportunità». Di qui il rischio che la tecnologia non sia utilizzata nel modo più efficace. «Gli imprenditori italiani non sono in maggioranza visionari sul modello di business» nota Grassano, «sono bravi a fare prodotti nuovi, ma avere una semplice rete commerciale non basta più. Devi capire che hai a che fare con nuovi modelli di mercato, servizi nuovi, un nuovo mondo. E non puoi non cambiare, la carta sta sparendo, non puoi continuare a lavorare come 20 anni fa. Le competenze sono da adeguare». La digitalizzazione porta con sé anche l’esigenza di una revisione dei processi organizzativi aziendali.
Nella cultura digitale del cambiamento l’informazione non è più del singolo lavoratore ma dell’intera azienda
«Uno dei modelli più importanti, dei veri cambiamenti è il lavoro in team» precisa l’Head of Management & Technologies di RSM Italia, «nel mondo tradizionale ognuno lavora per conto suo, ma in quello digitale c’è la condivisione e l’organizzazione a team, permettendo approcci condivisi nella gestione degli eventi rilevanti per un’azienda». Nella cultura digitale del cambiamento, l’informazione non è più del singolo lavoratore, ma dell’azienda. «In questo modo si limitano gli errori delle persone, che interagiscono portando a bordo anche i più riluttanti» rimarca Grassano, «è un mondo ordinato e organizzato, che permette anche più trasparenza e condivisione di informazioni rilevanti a tutti i livelli e in particolare con i clienti». In questo quadro, un punto fondamentale, e purtroppo debole in Italia, è la capacità del sistema di valorizzare e sostenere l’innovazione. «Spesso da noi ci sono idee innovative, menti brillanti che però vengono comprese o valorizzate soprattutto all’estero» si rammarica l’Head of Management & Technologies di RSM Italia, «il che ci costa un impoverimento, con il trasferimento di tecnologie e innovazioni in altri paesi. Ci sono aziende anche importanti che hanno trasferito all’estero il centro di ricerca e sviluppo, in paesi come la Francia non l’avrebbero mai permesso». L’insufficiente politica di sostegno alla ricerca e innovazione e alle startup davvero innovative è un esempio di questa debolezza. «Se non valorizziamo la capacità innovativa delle nostre risorse, rischiamo di fare un assist ai nostri concorrenti» insiste Grassano, «di startup e innovazione ne abbiamo, ma la spesa in investimento dell’intero sistema e delle aziende è troppo inferiore rispetto a quella di altri paesi. E dire che la capacità di ingegno non ci manca».
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