Economy magazine

Prodotti finanziari contenitore più convenienti fiscalmente e più trasparenti per il cliente: sono la nuova frontiera, e non una moda momentanea, per il risparmio gestito. Ne è convinto Massimo Doris, amministratore delegato di Banca Mediolanum, “una tra le grandi aziende del settore ad averci puntato”, che ne illustra il senso in questa intervista con Investire. In cui anticipa anche i promettenti risultati del primo anno di attività nell’investment banking, il 2018, “con 15 contratti di advisory sottoscritti dai nostri banker con imprese clienti, per quotazioni, cessioni o emissioni di bond”.

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Doris afferma di considerare la sfida della trasparenza lanciata dalla Mifid 2 già sostanzialmente vinta da Banca Mediolanum “con la diffusione, apprezzata e pacifica, del suitability report da ormai un anno. Il cliente seguito con professionalità riconosce il valore del servizio e comprende i costi, che peraltro la direttiva ha avuto il merito di calmierare un po”.

Siamo stati tra i primi a farei prodotti “contenitore”: ci sembrava giusto, inevitabile

Dottor Doris, iniziamo dai prodotti contenitore. Perché il mercato li sta preferendo su così vasta scala?

Siamo stati tra i primi ad andare verso i prodotti “contenitore” perché ci sembrava giusto e anzi inevitabile. Venivamo da una vera e propria ubriacatura per l’open architecture. Per una malintesa idea di diversificazione dell’offerta. Una formula che noi abbiamo sempre criticato. Se metto di fronte al cliente 2000 fondi tra cui scegliere,dove sta il mio valore aggiunto? Ma anche il più bravo consulente come fa a scegliere tra 2000 fondi? Finisce col selezionare quelli che hanno reso di più nell’ultimo periodo, assumendosi un rischio enorme non avendo altri elementi di valutazione. 

E invece, i prodotti contenitore?

I prodotti contenitori consentono, in un’unica soluzione, di accedere ad un’ampia gamma di fondi d’investimento, sia propri che di terzi, già preselezionati, per costruire in modo efficiente portafogli ampiamente diversificati. Al banker spetta la valutazione delle esigenze del cliente e l’adeguatezza del profilo di rischio, mentre la gestione e la scelta degli strumenti attraverso i quali implementare le varie linee di gestione è delegata a un gestore qualificato. Presentano inoltre dei vantaggi fiscali perché le eventuali perdite di un fondo si compensano con i possibili guadagni di un altro, perché realizzati appunto all’interno di uno stesso contenitore. Queste sono le ragioni vincenti di una scelta oggi diffusa. Inoltre i prodotti contenitore permettono alle Case di investimento di essere ancora più compliant rispetto alle nuove regole di Mifid2. 

Nessun timore sulla Mifid 2, se un family banker è bravo saprà sempre spiegare bene le ragioni di un costo

Ci spieghi meglio…

E’ semplice: il sospetto che aleggia sulle Case di investimento riguarda il conflitto d’interessi. Si teme che anziché selezionare il meglio tra i prodotti finanziari, le Case preferiscano i prodotti per loro più remunerativi. Ebbene i prodotti contenitori presentano tipicamente un pricing lineare e un sistema di remunerazione per il banker assolutamente indipendente dagli strumenti utilizzati per la costruzione dei portafogli. Ecco scomparire quindi il rischio del conflitto d’interessi!

Un prodotto che dà molta soddisfazione in tal senso a noi e ai nostri clienti è MyLife, che ha registrato una raccolta pari a 5,9 miliardi. Aggiunge l’involucro assicurativo, apprezzato perchè impignorabile, insequestrabile ed esente da imposte.

Non bastavano i fondi di fondi?

I prodotti contenitori sono molto più flessibili e consentono un maggiore presidio e monitoraggio delle soluzioni offerte al cliente. 

E le gestioni in fondi?

Offrono il vantaggio della compensazione fiscale tra plus e minusvalenze, ma non prevedono la copertura assicurativa e i vantaggi di cui ho parlato prima.

Ecco, veniamo al punto dolente dei costi: che ne pensa dell’impatto della Mifid 2, che sei mesi fa sembrava essere il babau del risparmio gestito?

Non per noi. 

Cioè?

Ci si è concentrati molto sui nuovi report alla clientela che mettono in grande evidenza i costi, dimenticando però che già da gennaio 2018 Mifid 2 obbligava a inviare ai clienti il cosiddetto suitability report, il report di adeguatezza. Ogni volta che un cliente fa un investimento nuovo o anche solo un aggiuntivo su un prodotto che ha già in portafoglio, riceve una rendicontazione che riassume, con la massima evidenza, i costi sostenuti per quell’investimento. In valore assoluto e in percentuale. E’ già così da quindici mesi.

La Mifid 2 stata sacrosanta perchè ha spronato tutti gli operatori ad abbassare i costi per il cliente finale, ma non al punto da far crollare i margini

E allora?

Posso dirle che l’invio nel 2018 del Suitability report a 100 mila nostri clienti, in regime di estrema trasparenza, non ha generato contraccolpi in termini di raccolta netta gestita, tant’è che ci siamo collocati al primo posto tra le reti. Forse avremo perso qualche opportunità, ma in misura del tutto marginale. L’invio del report di adeguatezza costituisce un ottimo banco di prova con, tra l’altro, zero conflittualità da parte di chi l’ha ricevuto, oltre 100 mila clienti.

E adesso quindi non avete timore che ci sia un contraccolpo più forte?

Se un family banker fa bene il suo lavoro, e ha una relazione forte col cliente, saprà spiegare le ragioni di un costo senza temere la trasparenza. Inoltre i report sul 2018 difficilmente arriveranno prima di aprile, visto che il dettaglio dell’andamento sui fondi di terzi arriva dalle Case alle Reti nel corso del mese di marzo. I banker hanno  avuto quindi tre mesi di tempo per preparare i propri clienti. I report inoltre saranno abbastanza corposi. Forti del rapporto fiduciario probabilmente i clienti chiederanno conto al loro consulente dei costi, e  a fronte  di un servizio di qualità il problema non si pone.

Come dire che la Mifid 2 è stata inutile?

Al contrario: è stata sacrosanta perchè ha spronato tutti gli operatori ad abbassare i costi per il cliente finale. Ma non al punto da far crollare i margini, che servono a remunerare un servizio impegnativo e qualificato qual è quello di una rete che faccia bene il suo lavoro di consulenza finanziaria. 

Ma qual è il giusto prezzo secondo lei per un servizio come il vostro?

Il prezzo è proporzionato al servizio che ricevo. Sappiamo con certezza che la soddisfazione del cliente è direttamente proporzionale alla frequenza dei contatti con il family banker. Non tanto all’andamento del mercato. Nel 2008, quando tutti i clienti perdevano, il rischio di fuga in massa era alto, ma la regolarità frequente del contatto banker-cliente ha trasmesso tranquillità e fiducia ai clienti, che hanno approfittano dei prezzi bassi dei mercati per incrementare la propria posizione finanziaria.

Cioè?

Spesso non si riesce a rimanere razionali di fronte ai mercati e si acquista ai massimi, per poi vendere ai minimi. Anima cita spesso il caso del suo fondo, Anima Trading, premiato, una quindicina d’anni fa, per aver realizzato una performance media annua di oltre il 10%. Ebbene la metà degli investitori ha perso soldi su quel fondo proprio per errori di timing, cioè ha comprato ai massimi e venduto ai minimi. Per cui, ripeto: è positivo che i costi per il cliente scendano, e la Mifid ha giovato, ma non defocalizziamoci su ciò che fa la differenza, e cioè l’educazione del cliente all’investimento. Dev’essere un modus operandi sistematico e permanente: i clienti vanno contattati sempre. Non necessariamente con la presenza fisica ma anche per telefono o con altri canali digitali.

Gli strumenti avanzati di costruzione dei portafogli sono ideali per i family banker ma la loro applicazione nel settore retail può creare danni

A proposito: ma quanto vi state digitalizzando? Quanto robot-for-advisory c’è in voi?

I nostri family banker hanno a disposizione strumenti evoluti e sofisticati che li aiutano a creare i portafogli giusti per i loro clienti, ma non crediamo a forme di robotizzazione troppo spinte. La loro applicazione nel settore retail può creare danni. Non è detto che il risparmiatore abbia le competenze necessarie per maneggiare da solo quegli strumenti. Ora i nostri banker le competenze le hanno, ma affidarsi esclusivamente ai robot sarebbe materialmente impraticabile. A ogni input del sistema – per esempio, sovrappesare gli Usa e sottopesare l’Europa – il banker dovrebbe contattare tutti i suoi 200 o 300 clienti, spiegare loro le soluzioni proposte e raccoglierne gli ordini. Nel frattempo il quadro potrebbe cambiare e l’operazione sarebbe superata dagli eventi. E dunque impieghiamo la digitalizzazione per diversificare al meglio la selezione dei prodotti migliori per ciascun profilo di rischio. E in questo c’è molto valore.

E come fate?

Abbiamo sviluppato un algoritmo nostro, di nostra proprietà intellettuale, ISD o Indicatore Sintetico di Diversificazione, che sa misurare il livello di diversificazione di un portafoglio. Le variabili che compongono questo indicatore non sono equipesate, ma ponderate in base al grado di rilevanza attribuito dalla banca. Il cliente può quindi comprendere il livello di diversificazione del proprio portafoglio sia in base alle variabili classiche – orizzonte temporale, diversificazione geografica e settoriale-  sia secondo variabili più sofisticate come la diversificazione per valute e stile gestionale. La valenza dell’indicatore è supportata dalla validazione del modello effettuata da Prometeia e può diventare per il cliente la bussola per orientarsi rispetto ai propri investimenti. 

Oltre ai robot, avete novità sull’e-banking?

Riteniamo di essere al top nella tecnologia del riconoscimento biometrico, che sta esaltando la comodità, la sicurezza e l’affidabilità degli accessi da smartphone. Con uno smartphone che ti riconosce dalle impronte e dalla fisionomia non occorre ricordare alcun codice.

Ancora un tema: avete presentato da poco una classe di imprese Elite che sostenete, insieme con Borsa italiana spa. Come sta andando la vostra diversificazione nell’investment banking?

Abbiamo deciso di allargarci al mercato soltanto l’anno scorso, se avessi voluto entrare nell’investment banking per attivare presto una nuova grande linea di ricavi determinante per il bilancio avrei sbagliato

Siamo entrati nel settore l’anno scorso. In un anno abbiamo acquisito 15 contratti di advisory da altrettante imprese per operazioni di finanza straordinaria, come quotazioni, vendita o emissioni di bond. Dalla comunicazione della nostra partnership con Elite, che prevede una lounge di 24 mesi per una selezione di 21 imprese, alcuni family banker ci stanno già chiedendo come poter inserire altre aziende clienti nel progetto Elite.

Bene, ma non è ancora un business, mi pare.

Se avessi voluto entrare nell’investment banking per attivare presto una nuova grande linea di ricavi determinante per il bilancio avrei sbagliato. Allora perché lo facciamo, potrebbe chiedermi lei. Se Banca Mediolanum aiuta un imprenditore a vendere bene la sua impresa, oltre alla fee per l’operazione, è probabile che, almeno  parte del denaro incassato, le venga affidato in gestione. Se aiuto un’impresa a quotarsi in Borsa e a far convogliare risorse per il proprio sviluppo, probabilmente riuscirò a cementare un rapporto fiduciario con l’imprenditore che mi affiderà una parte dei suoi risparmi. Rafforzando il legame con questa tipologia di clientela, svolgo un’attività qualitativamente elevata, complementare al mio core business che è e resta la gestione del risparmio. E c’è di più…

Cosa?

Il nostro impegno a fianco di Elite è un modo per aiutare i nostri clienti imprenditori a fare il salto di qualità. Mi piace l’idea di aiutare le aziende italiane a crescere. Diamo un aiuto al Paese, all’intero sistema. 

Ma è facile per una rete come la vostra acquisire questo genere di clientela, con tutta la concorrenza che c’è da parte delle merchant bank tradizionali?

In aprile verranno consegnati, a circa 30 professionisti, i diplomi della seconda edizione del Master in Family Banking, un percorso formativo biennale, progettato in collaborazione con l’Università Cattolica di Milano

Di facile non c’è nulla, ma abbiamo il vantaggio della prossimità alla nostra clientela. Le grandi merchant bank sono tutte a Milano. Le imprese, loro potenziali clienti, sono invece sparse su tutto il territorio, come i nostri banker, che parlano la loro stessa lingua, con il loro stesso accento. Quando incontro gli imprenditori, faccio notare loro che il mondo del credito bancario è cambiato.

E’ importante che l’imprenditore conosca l’esistenza di forme alternative al credito per ottenere risorse fresche da convogliare verso la propria azienda. Non abbiamo la pretesa di insegnare loro come svolgere al meglio il loro mestiere. Tuttavia non si può ignorare l’importanza della finanza nella crescita di un’azienda, e in questo gli specialisti siamo noi. Se l’imprenditore dispone di informazioni incomplete o scorrette difficilmente sarà nelle condizioni di operare le scelte migliori. Una volta che l’imprenditore è bene informato, ha la sufficiente consapevolezza per decidere se continuare a lavorare come ha sempre fatto o cambiare. E di quest’approccio, devo dire, sono tutti entusiasti. Soprattutto gli imprenditori della nostra classe Elite.

Mi scusi, però: ma i vostri banker sono all’altezza di …insegnare finanza d’impresa?

I family banker che vogliano occuparsi dei servizi di corporate finance devono  seguire un percorso formativo specialistico, progettato ed erogato dalla nostra Faculty in collaborazione con il MIP Politecnico di Milano per apprendere le seguenti tematiche: composizione e lettura del bilancio, analisi finanziaria, valutazione d’impresa. Al termine del percorso è previsto un esame di abilitazione.

Già: la vostra famosa formazione! Con i dieci anni di Mediolanum Corporate University…

Si sa che i mercati anticipano i fenomeni economici, quindi il rallentamento in atto è quel che il mercato aveva scontato nel 2018

Un fiore all’occhiello. Organizziamo un’ampia gamma di corsi, sia tecnici, sia relazionali, rivolti ai nostri dipendenti, quadri, dirigenti, ma soprattutto ai nostri banker, da 10 anni nella nostra Faculty. Il 18 marzo abbiamo celebrato infatti 10 anni di Mcu, con una veste istituzionale, nella nostra sede di Milano, Biandrà, cui ha avuto seguito, al Teatro Nuovo di San Babila, un vero e proprio spettacolo aperto ai nostri clienti. Hanno preso parte uomini di impresa e cultura, come Oscar Farinetti e Michele Placido, che ci hanno seguito in questo decennio di attività.

Tornando alla preparazione dei nostri banker, ricordo che in aprile verranno consegnati, a circa 30 professionisti, i diplomi della seconda edizione del Master in Family Banking, un percorso formativo biennale, progettato in collaborazione con l’Università Cattolica di Milano. Mentre a marzo è partita la seconda edizione di Bimex, “Banking & Innovation Management Executive Master”, un percorso di formazione manageriale, della durata di 29 mesi, anch’esso realizzato in collaborazione con l’Università Cattolica di Milano. Sono progetti impegnativi perché i banker lavorano e studiano contemporaneamente per due anni, ma l’entusiasmo è massimo. Acquisiscono consapevolezza e dimestichezza su temi trasversali, che si traducono in maggiore sicurezza nel rapporto con il cliente. Anche il nostro percorso Elite è impegnativo e di qualità, e per questo darà un grande ritorno. 

E poi i vostri banker sono certificati Efpa in percentuale nettamente superiore alla media del sistema… 

Offriamo la possibilità di partecipare a specifici percorsi formativi finalizzati al sostenimento dell’esame di Certificazione Efpa per i livelli Eip (European investment practitioner, ndr), Efa (European financial advisor, ndr) e per quello avanzato Efp (European financial planner, ndr). Nel 2018, i family banker certificati Efpa sono stati 682. E le dirò che non mi dispiacerebbe se si certificassero tutti, ma naturalmente non andiamo a imporlo. In Spagna, dove non c’è l’albo dei consulenti ed è l’azienda che decide se un soggetto è idoneo, chiediamo ai nostri collaboratori che  conseguano la certificazione Efpa oppure che frequentino un corso realizzato con l’Università di Valencia per certificare che abbiano acquisito la competenza adeguata per un consulente finanziario. 

Ancora una cosa: come procede la crescita nei servizi di wealth management? 

Procede bene, sono servizi sempre più apprezzati, dai clienti come dai nostri banker, che hanno una leva in più molto forte per parlare con i loro clienti. Il tema del passaggio generazionale è molto sentito. Un momento cruciale soprattutto per le imprese familiari, ritenuto molto più importante dell’1% in più di rendimento.

Per concludere, dottor Doris: come vedete i mercati finanziari, in quest’inizio di marzo 2018?

Se guardiamo al mondo, il Pil è previsto in lieve rallentamento ma siamo sempre intorno al 3% quindi il pianeta va avanti sia pur con qualche turbolenza. Del resto si sa che i mercati anticipano i fenomeni economici, quindi il rallentamento in atto è quel che il mercato aveva scontato nel 2018. Notizie positive sembrano arrivare dagli Usa: i rapporti commerciali con la Cina dovrebbero migliorare. Meno bene vedo il fronte europeo e italiano in particolare per le tante incertezze. L’economia è trainata dall’attività delle imprese e dai consumi. Se c’è sfiducia nel futuro, rallentano sia le une che gli altri. E il Pil non cresce. Se non ho fiducia nel futuro non m’indebito e non investo… E in un quadro incerto è difficile che il Pil risalga.

Una domanda per tutte: lei la farebbe la Tav?

Da imprenditore non posso che essere favorevole a un’opera che rafforza il nostro sistema di infrastrutture, che crea numerosi posti di lavoro in un settore penalizzato come quello dell’edilizia e che facilita i collegamenti con il resto d’Europa. Senza contare tutto l’indotto positivo che opere di questo genere hanno sempre sull’economia e sulla società.

*(Intervista tratta dal numero di aprile di Investire)