La Pubblica amministrazione italiana ha una caratteristica peculiare: con una mano toglie, e con l’altra pure. Non solo la burocrazia meno efficiente d’Europa (d’accordo, ce la giochiamo con la Grecia) grava di costi le aziende, ma quando le deve pagare lo fa con i tempi più lunghi del continente. Con un’aggravante: l’aumento dello spread, che ha iniziato a impennarsi giusto un anno fa sulla scia delle minacce di sfracelli del governo gialloverde, ha provocato un allungamento dei già biblici tempi di pagamento della Pa. Alla fine le minacce sono in gran parte rientrate, lo spread dal picco di oltre 330 è calato di un centinaio di punti base dopo averci fatto spendere un po’ di miliardi di euro in più per rifinanziare il debito, ma i tempi di pagamento della Pa non si sono più ridotti. «Quando aumenta lo spread, lo Stato trova maggiori difficoltà a reperire risorse sul mercato per far fronte al debito, e c’è una maggiore lentezza nel trasferire l’ammontare dovuto ai debitori» spiega Giampiero Oddone, ad di Officine Cst, azienda controllata da Cerberus Capital Management che gestisce crediti sia performing che non performing derivanti da forniture verso pubbliche amministrazioni, «inoltre c’è un fattore emotivo: il debitore capisce che questa è la dinamica, e quindi tiene un po’ più soldi in casa piuttosto che darli alla controparte creditrice in tempi rapidi. Il risultato è un aumento dei tempi di pagamento nell’ordine del 10-15%, che aggrava una tempistica già lunga di per sé». La situazione non è omogenea: «I tempi si stanno allungando specie nelle regioni più critiche, quelle del centro-sud» dice Oddone, «anche se sono molto diversificati. Lavoriamo su oltre 10mila Pa, comuni, ministeri, regioni, amministrazioni centrali, caserme, questure. Alcuni debitori, specie in regioni come Sicilia e Calabria, hanno allungato di molto le tempistiche, altri, per esempio città del nord quali Milano, sono virtuosi». L’allungamento dei tempi di pagamento della Pa al Sud si aggiunge al numero crescente di comuni meridionali in dissesto finanziario, inclusi quelli di grandi dimensioni.
Capire quale sia il reale stato di recupero del credito tra decine di pratiche affidate all’avvocato è diventato sempre più complicato
«Oggi le Pmi devono far fronte anche all’esigenza di recuperare i crediti nei confronti dei comuni dissestati» osserva l’ad di Officine Cst, «Dissesti che riguardano un bacino complessivo molto ampio, circa due milioni di abitanti». Ci sono due strade per il recupero dei crediti da un comune dissestato: «C’è la procedura semplificata, che ti permette di recuperare tra il 40 e il 60% del credito; e c’è quella ordinaria, che in teoria permette di recuperare anche tutto, ma in tempi biblici, anche 15 anni» aggiunge Oddone. Officine Cst propone alle Pmi il metodo elaborato in anni di esperienza con le grandi aziende. «Prima le utility e le grandi aziende si rivolgevano a tanti avvocati, tra cui distribuivano le pratiche di attività di recupero credito» racconta l’ad, «poi man mano che la situazione è peggiorata il recupero è diventato più complicato: un singolo avvocato gestiva poche pratiche, ma le pratiche magari erano centinaia, e non si capiva più qual era il reale stato del recupero del credito: dai fili si passava alle matasse». Si è così affermato un modello diverso: «quello delle società specializzate come la nostra, che garantiscono la gestione di tutta l’attività legale e sono remunerate in misura variabile più che fissa, efficientando di molto il recupero del credito» sottolinea Oddone, «forniamo in tempo reale lo stato di avanzamento con un monitoraggio estremamente preciso». Un servizio apprezzato anche dalle aziende di dimensioni inferiori: «Oggi le Pmi hanno l’esigenza di gestire il recupero crediti, ma non possono permettersi risorse dedicate, anche perché la gestione amministrativa è sempre più complicata» conclude l’ad di Officine Cst.