Coronavirus, per Bergamo e Brescia un conto da 8,5 miliardi

La fase uno a Bergamo e Brescia è costata qualcosa come 8,5 miliardi di euro: 3 miliardi e 615 milioni di euro per la bergamasca, il resto per il bresciano. A mettere in fila storie di aziende e di persone, numeri, emozioni, è Giuseppe Spatola, vicepresidente dei cronisti lombardi già al Corriere della Sera, inviato di Bresciaoggi, corrispondente lombardo di Agi e colaboratore di Economy, che ha appena dato alle stampe «La storia del coronavirus a Bergamo e Brescia. Divise su tutto, affratellate dall’emergenza così le due città hanno combattuto insieme», in libreria per Typimedia Editore. La sua narrazione parte dall’abbraccio simbolico tra Bergamo e Brescia, per arrivare a raccontare il miracolo dell’ospedale da campo, costruito dagli Alpini in appena otto giorni. «Il Coronavirus dopo mesi di trincea mi ha tolto la capacità di mediare e mentire – dice Giuseppe Spatola raccontando il lavoro fatto nel quotidiano che ha cercato di trasferire nel libro-. Se è vero che i numeri della pandemia disegnano scenari inimmaginabili, la realtà è oltre ed è un dramma senza fine. Brescia e Bergamo sono diventate moderne capitali del dolore dove due generazioni di uomini e donne sono state spazzate via da un morbo che per alcuni doveva essere “poco più di una influenza”. In 25 anni di carriera giornalistica, prima al Corriere della Sera e quindi al Bresciaoggi da inviato, di cadaveri ne ho visti e raccontati a decine. Ma oggi, ogni sera, mi ritrovo a piangere da solo. Piango perché fare ogni giorno la macabra conta di incolpevoli morti segna il cuore e blocca la tastiera».

“Il risultato che emerge per Bergamo e provincia è un conto da 3 miliardi e 615 milioni di euro, inteso come mancato fatturato. In particolare, sono i 2,343 miliardi di euro di mancati incassi dell’industria e gli 1,272 miliardi del mondo dei servizi”, scrive Spatola. “Secondo Covid Analysis, infatti, in terra orobica nel com- parto dell’industria si sono fermate 18.366 imprese (8108 sono rimaste attive), per un totale di 116.000 addetti, mentre nei servizi lo stop ha riguardato 30.408 attività produttive (34.222 hanno continuato a lavorare) e oltre 74.000 addetti.

La Bergamasca è la terza provincia lombarda su cui l’impatto del lockdown è stato economicamente maggiore: conseguenze ancora più critiche si sono avute a Brescia (4,948 miliardi di mancato fatturato, di cui 3,327 nell’industria) e naturalmente a Milano (15,737 miliardi di mancato fatturato, di cui ben 11,7 nei servizi). In totale, la Lombardia arriva a oltre 35 miliardi di mancato fattura- to, ripartiti tra i -16,291 miliardi dell’industria e i -19,430 dei servizi.

Per la città di Bergamo i mancati fatturati di industrie e servizi arrivereb- bero a quasi 400 milioni di euro, divisi appunto tra i -108,7 milioni dell’in- dustria (si sono fermati 4.532 lavoratori), e i -284,1 milioni dei servizi (hanno sospeso l’attività 6322 realtà economiche, con un giro di 16.159 addetti).

Nella città di Brescia la frenata è stata ancora più drastica, più del doppio rispetto al capoluogo “cugino”: -451,6 milioni di euro per l’industria e -437,8 milioni per i servizi, dunque un mancato giro d’affari di 889 milioni di euro. In terra bresciana nel comparto dell’industria si sono fermate 19.445 imprese (8670 sono rimaste attive), per un totale di 136.000 addetti, mentre nei servizi lo stop ha riguardato 38.058 attività produttive (42.034 hanno continuato a la- vorare) e oltre 93.000 addetti. A Lumezzane, capitale delle aziende manifatturie- re bresciane, si sono persi 128 milioni e 983.000 euro di fatturato nel comparto industriale che ha portato al blocco di 632 fabbriche con 4451 dipendenti. Nei servizi si son persi 27 milioni. A Desenzano la crisi maggiore l’hanno pagata i servizi con una perdita di 51 milioni, mentre le fabbriche registrano perdite di almeno 16 milioni di euro di fatturato. A Ponte di Legno, dove la stagione sciistica è stata interrotta in anticipo, si sono persi 2 milioni di euro nei servizi, con il blocco di 147 attività. Ancora peggio è andata a Sirmione dove mancano 12 milioni nel cassetto dei servizi e oltre 2 milioni e mezzo in quello dell’indu- stria. Insomma, la “fase 2” difficilmente potrà restituire a Brescia e ai bresciani i 5 miliardi di mancato fatturato dei due mesi di blocco per il Coronavirus.

Conti che si riverberano sull’occupazione. A maggio, a Bergamo sono più di sei milioni e mezzo le ore richieste e in attesa di autorizzazione Inps per la cassa in deroga e serviranno a coprire i bisogni di quasi 36.000 lavoratori, impiegati prevalentemente in realtà sotto i cinque dipendenti e nella maggior parte dei casi nei settori di commercio e servizi. In campo artigiano, a metà maggio sono state protocollate domande per 22.000 lavoratori ed erogati pagamenti per oltre cinque miliardi di euro per 11.228 lavoratori.

Quello che una volta era la miniera d’oro della bergamasca, il settore tessile, esce con le ossa rotte dalla crisi del Coronavirus con marchi storici e importanti che hanno quasi tutti continuato a lavorare. Ma da qui a produrre e vendere il passo è lungo.

Del resto in Lombardia le ore complessivamente richieste di cassa integrazione (ordinaria, straordinaria e in deroga) nel bimestre marzo-aprile 2020 sono il 184,1% di quelle richieste nel primo trimestre 2010. In particolare, le ore richieste di Cigo (cassa integrazione ordinaria) nel bimestre marzo-aprile 2020 sono il 302,9% di quelle richieste nel quarto trimestre del 2009 come conferma l’Osservatorio cassa integrazione guadagni della Cisl Lombardia. Brescia e Bergamo hanno chiesto attorno ai 30 milioni di ore di cassa integrazione. La locomotiva italiana rischia di non ripartire presto”.