«Ci cambiano le regole? E noi cambiamo i clienti!»
l'autore, Massimiliano Burelli A.d. di AST da aprile 2016

«Viviamo un clima da “occhio per occhio dente per dente”, con il rischio di ritrovarci tutti senza occhi e senza denti. Dobbiamo  attivare delle misure di salvaguardia a livello europeo, altrimenti saremo inondati da materiale a basso costo. Questa invasione interessa le commodities, ovvero i prodotti commerciali. Per questo  una delle alternative che abbiamo è cercare di convertire il nostro mercato di riferimento dalle commodities ai prodotti destinati agli utilizzatori finali che per definizione hanno necessità  e richieste diverse da chi compra commodities. Il cambiamento di cliente di riferimento è propedeutico a vivere questi periodi difficili sul piano internazionale con maggiore serenità rispetto al passato. È  la strategia che Acciai Speciali Terni sta adottando da qualche anno, decisione presa in tempi non sospetti, molto prima dell’erogazione dei dazi. Per utilizzatori finali si intendono i clienti che comprano piccole quantità di prodotto con moltissime specifiche. Questi clienti operano in un’ottica di total cost of ownership e considerano il prezzo di acquisto un elemento importante ma non l’unico per valutare un fornitore. Ciò di cui hanno bisogno è innovazione continua, tempi di attraversamento brevi, lotti piccoli, qualità e puntualità di consegna. Il cambio di mercato di riferimento implica  un nuovo modo di lavorare e per questo è fondamentale la Lean Transformation che abbiamo avviato in azienda circa due anni fa e che ci sta permettendo di adeguare il nostro metodo produttivo a quello di clienti utilizzatori finali, soprattutto del mondo automotive. Se correre ai ripari è d’obbligo visto il crescente braccio di ferro tra Usa e Asia, certo è che al momento i dazi di Trump stanno producendo un danno soprattutto per l’America.

«Nonostante tutto, per l’industria italiana è un buon momento: nel 2017 abbiamo esportato più di 500 mld di merce (di cui 470 di manifatture)»

Da quando sono progressivamente aumentati i dazi i prezzi dell’acciaio in Usa sono aumentati del 25%, perché la domanda interna non riesce ad essere soddisfatta senza importazioni. Questo accade anche perché gli imprenditori non hanno interesse a incrementare la capacità di produzione dell’acciaio negli Usa. I tempi per intraprendere un’operazione costosa come questa sono molto lunghi e il mandato di Trump dura 4 anni, uno dei quali è già finto. Se il presidente Trump non sarà rieletto, i dazi rimarranno? Difficile che un imprenditore decida di investire un capitale ingente su un’operazione che vedrà i suoi frutti solamente tra qualche anno, con questa incertezza. L’Europa produce 168 milioni di tonnellate di acciaio, di cui 4,9 sono esportate verso gli Usa che ne producono solamente 72. L’Italia ne produce 24 milioni, di cui 200mila prendono la direzione Usa: una quantità minima che non fa correre al nostro Paese il rischio di una penalizzazione diretta e concreta. Sono convinto che dei 5 milioni di acciaio europeo diretti verso gli Usa, una parte continuerà ad andare nonostante i dazi. E lo stesso vale per una parte delle 200 mila tonnellate italiane. Ciò che invece preoccupa di più è la possibilità che l’Europa diventi la prima “valvola di sfogo” dei prodotti a basso costo, nel momento in cui il mercato americano dovesse diventare del tutto inaccessibile per i fornitori asiatici. La ricetta in questo caso la stiamo preparando insieme alla Eurofer per chiedere misure di salvaguardia che dovrebbero consistere nel misurare l’import da Paesi extra Ue negli ultimi 3 anni e tassare tutto ciò che è oltre la media con un dazio importante, per scoraggiare l’arrivo in Europa delle tonnellate prima destinate agli Usa. La nostra struttura dei costi in Europa è abbastanza allineata, ma  non sarà mai compatibile con quella della Cina. Se la politica di Trump va avanti, per evitare di creare un meccanismo senza vie di uscita dovrebbero essere gli esportatori a tagliare capacità.