Un anno fa la Cop 26 riunita a Glasgow si concluse in pompa magna ribadendo l’ambizioso obiettivo di contenere a 1,5 gradi al 2100 l’obiettivo del riscaldamento globale. E dopo neanche un mese il Consiglio europeo stilò la nuova “tassonomia“ ecologica europea, escludendo sdegnato il gas naturale e, figuriamoci, il nucleare sicuro. Tre mesi più tardi la guerra scatenata da Putin contro l’Ucraina si è incaricata di ricordare a tutti che senza combustibili fossili per ora il pianeta si spegne. E vai con il carbone, col petrolio, con qualsiasi combustibile pur di far girare la Grande Macchina. E in agosto le autorità europee – contrordine compagni – hanno riammesso gas e nucleare nella famosa tassonomia, ammettendo implicitamente la totale impreparazione delle proprie gerarchie politiche sul tema.
Nel frattempo Wall Street, dopo qualche anno di gnagnera su quanto sono belli e buoni gli investimenti sostenibili, ha calato le braghe di fronte all’evidenza che i combustibili fossili ancora servono e ha riammesso tra le “asset class” (ovvero le attività su cui è “etico” investire) anche le prima esecrate fonti energetiche tradizionali, e qualcuno – di fronte alla guerra – si è spinto ad affermare che l’industria militare “di difesa” non andrebbe discriminata, come se fosse possibile stabilire, in partenza, se una rivoltella viene usata per aggredire o per difendersi. Stranezze.
Nel frattempo, il pauroso burrone nelle quali – meritatamente – sono sprofondate le quotazioni delle criptovalute ha indotto qualche ripensamento negli investitori (ha senso investire nella fuffa?) ma quasi nessuno ha osservato che tra le vergognose lacune dell’atteggiamento delle autorità bancarie e finanziarie al riguardo, c’era anche l’omissione della critica dell’enorme assorbimento di energia che la filiera del “mining” e della blockchain che serve le cripto e che è in sé una buona ragione per limitarle.
E vogliamo parlare dell’altra vergognosa ipocrisia dei Paesi cosiddetti sviluppati sulla sostenibilità? Allora parliamo della lettera “s” che si colloca al centro dell’acronimo “esg” e che vuol dire “social”. I colossi della Silicon Valley, che sarebbero gli alfieri del “sol dell’avvenire” tecnologico e che sono considerati – Elon Musk in testa – i vessilliferi del nuovo e del buono, hanno tagliato 120 mila teste in neanche un anno, dal gennaio scorso ad oggi, e non perché siano andati in deficit ma solo perché guadagnano un pelino in meno di prima e le loro quotazioni sono precipitate (perché erano salite troppo): ma nessuno si scandalizza, perché il rispetto della persona e del lavoratore negli Stati Uniti è ancora ben poco considerato. Ah, e poi c’è la lettera “g” dell’acronimo, che sta per “governance”. Tornando a quel cialtrone planetario di Musk, uno che in Europa sarebbe stato arrestato vari anni fa per il vizio di straparlare di finanza e di valori di Borsa a mercato aperto, determinando inammissibili saliscendi nei prezzi delle azioni citate… Una volta si sarebbe chiamato “aggiotaggio”…
L’elenco potrebbe proseguire. Ma aggiungiamo un solo ultimo elemento e traiamo una conclusione. Abbiamo in atto un evidente riscaldamento globale, con ghiacciai che si sciolgono, maree che montano, inondazioni che aumentano. Non illudiamoci: continuerà. Ma non deprimiamoci: chi capisce quanto è pericoloso il cambiamento climatico per il mondo che verrà, continui ad impegnarsi, a investire nelle rinnovabili, a impiantare i pannelli solari sul tetto e a non disperdere scorie nell’ambiente. Mitigherà comunque il temibile “peggio”.
Serpeggia tra la gente e tra gli imprenditori un sentimento pericoloso di disinganno ecologico. Come se tutto quel che possiamo fare per l’ambiente sia inutile, sia poco, sia tardivo. Potrà pur esserlo, ma far niente è peggio.
Per fortuna, qualche consapevolezza in più si riscontra per lo meno in un settore, alla quale è dedicata la coverstory di questo numero di Economy e il convegno del 12 dicembre a Milano: l’edilizia, le infrastrutture, il real estate. Dove la sostenibilità, praticata in concreto, significa vivere meglio e spendere meno. Vale la pena crederci: è giusto per il futuro anteriore, quello dei nostri figli e nipoti, ma anche perché conviene già domani, nel nostro futuro prossimo. Crederci anche contro l’evidenza delle troppe ipocrisie.