Francesca Rizzi, il welfare aziendale ha ormai una “missione sociale”, che va al di là del perimetro aziendale?
Sì, è così. Le misure di welfare sono ormai una parte integrante delle strategie di sostenibilità di molte imprese, perché gli obiettivi Esg (acronimo di Environment, Social e Governance) riguardano tanto il capitale umano e sociale quanto quello economico e finanziario, oltre a quello ambientale. Il welfare in particolare rappresenta un moltiplicatore sociale di benessere, perché a beneficiarne non sono solo i collaboratori ma anche i loro famigliari e le comunità di riferimento. Come Jointly, nel 2022 siamo diventati società benefit, per formalizzare anche nel nostro statuto l’impegno ad un impatto positivo sulla società e sull’ambiente attraverso servizi di welfare integrato efficaci e sostenibili, un impegno proseguito nel 2023, attraverso la certificazione B Corp.
Voi come società di welfare avete programmi particolari per il sostegno alla famiglia?
Come Jointly abbiamo un approccio integrato di sostegno alla famiglia, “Jointly 0-18” la soluzione dedicata al work-life balance dei genitori, caratterizzata da un pacchetto di servizi a supporto dei genitori per la cura e crescita dei figli da 0 a 18 anni: dalla nascita – con la selezione di nidi e baby-sitter, ma anche un supporto al ruolo genitoriale – all’orientamento scolastico, con percorsi interattivi per ragazzi delle medie e all’università. E oltre ai campus e vacanze studio in Italia e all’estero, con i nostri partner organizziamo anche servizi di doposcuola, sostegno allo studio- dai compiti a casa per le elementari fino ai test universitari – e attività extra scolastiche per il tempo libero dei figli. L’acceso ai servizi può avvenire attraverso un percorso di orientamento e affiancamento da parte di un Family Manager dedicato o direttamente online tramite portale dedicato
Anna Zattoni, bassa natalità, invecchiamento della popolazione: trend demografici rispetto ai quali si chiede anche alle aziende di fare la propria parte. Come?
Il Codice di Autodisciplina di Imprese Responsabili in favore della maternità promosso dalla Ministra per la Famiglia, la Natalità e le Pari Opportunità Eugenia Roccella fa esplicito riferimento al welfare aziendale nel creare un contesto favorevole all’occupazione femminile delle neomamme. Chiamato in passato anche “secondario”, il welfare aziendale è oggi uno strumento per il benessere dei genitori dove quello “primario” – cioè pubblico – risponde solo in minima parte alla crescente domanda di assistenza per minori e anziani, meno del 15% . Pensiamo alla copertura dei posti all’asilo nido, inferiore al 33%, o ancora al tempo pieno offerto solo in una scuola primaria su due in Italia, con gravi difficoltà per i genitori che lavorano, per non parlare della chiusura estiva delle scuole. Per quanto riguarda l’invecchiamento, vale la pena ricordare che più di un lavoratore su tre si occupa di un familiare non autosufficiente, e solo il 25% si rivolge con successo a strutture pubbliche . In tutti questi casi un’azienda attenta ai propri collaboratori può intervenire per dare risposte utili ed efficaci grazie al welfare aziendale, attraverso convenzioni con strutture scolastiche e ricreative o offrendo un supporto organizzativo per i caregivers, solo per fare due esempi.
Quali sono le principali novità introdotte dal nuovo Decreto Lavoro per il welfare aziendale?
La principale misura contenuta nel nuovo Decreto Lavoro è l’innalzamento a 3.000 euro del limite di esenzione di beni e servizi anche per il 2023, ma solo per i lavoratori dipendenti con figli a carico, oltre a un fondo da 60 milioni destinato ai Comuni per i centri estivi e i servizi socioeducativi territoriali. Come Jointly, riteniamo che intervenire sull’ Art 51 comma 3 del Tuir, innalzando la soglia dei fringe, presenti due aspetti critici. Il primo è che le aziende oggi fanno fatica a ricostruire quali dipendenti abbiano figli, perché la nuova procedura per la richiesta dell’assegno unico è gestita direttamente dall’Inps. Un secondo aspetto critico è che, senza nuovi investimenti in welfare aziendale, a beneficiare di questa misura saranno prevalentemente i dipendenti con figli che hanno già altri tipi di benefit – come l’auto aziendale, l’assicurazione extra contrattuale o la casa in affitto – che tipicamente sono dirigenti e quadri all’interno di un’organizzazione. Un possibile corto-circuito che avrebbe un impatto nettamente inferiore sulle altre fasce di lavoratori, oggi più impattate di altre da carovita e inflazione. Benvenga invece il fondo da 60 milioni: come Jointly, supportiamo già da anni le aziende –proprio attraverso il welfare – ad offrire campus e vacanze studio ai figli dei collaboratori. La nostra proposta è la stabilizzazione della soglia ad un valore attualizzato e l’introduzione di voucher sociali veicolati tramite le aziende e finalizzati a genitorialità e caregiving, nonché meccanismi premiali per le aziende che investono in welfare aziendale.
Quali sinergie ritenete sia importante alimentare e attivare tra società che, come la vostra, si occupano di welfare aziendale, e per esempio il mondo dei consulenti del lavoro o delle associazioni professionali di categoria?
Il welfare aziendale fino ad ora aveva un bacino di utenti limitato ai dipendenti aziendali. Ma il mondo del lavoro sta cambiando rapidamente – complice anche la pandemia – e oggi con oltre 5 milioni di lavoratori autonomi, l’Italia è il Paese europeo con il più alto numero di occupati in proprio. L’incidenza sul totale è la più alta anche fra i giovani: su poco più di 4 milioni di occupati tra i 25 e i 34 anni, il 16,3% svolge un lavoro autonomo contro una media UE del 9,4% . Tra questi, circa un terzo (28,5%) è un libero professionista – in tutto oltre un milione e mezzo – che ha quindi una cassa di competenza. Tutte queste persone, quindi, sono state finora escluse da forme di welfare integrativo, e al tempo stesso sarebbero quelle che – assumendosi un rischio imprenditoriale – più ne avrebbero bisogno. Alcune aziende e studi professionali virtuosi già lo stanno facendo, ma il dialogo con il mondo dei consulenti del lavoro e delle associazioni professionali di categoria è fondamentale per poter riuscire ad estendere il supporto del welfare anche ai lavoratori non dipendenti.