di Francesco Priore
Ascoltare o dare ascolto? Apparentemente sembrano sinonimi, ma la differenza è estremamente sottile e fondamentale. Ascoltare significa prestare attenzione alla persona con cui interloquiamo: una virtù. Dare ascolto, invece, si riferisce di norma al dare ascolto alle voci, alle dicerie: in genere non è considerata un’attività virtuosa.
Ascoltare tutti è una capacità manageriale e purtroppo la sua importanza non sempre è valutata nella giusta misura e utilità. Ad esempio: alcune tra le più importanti società di consulenza, operanti a livello internazionale, usano un metodo collaudato per formulare un piano di ristrutturazione aziendale. La società, una volta ricevuta la commessa e individuati gli obiettivi che il committente vuole raggiungere, si informa su quali sono le risorse umane in grado di esprimere delle idee – positive e negative – a proposito del raggiungimento degli obiettivi. Le idee ricercate sono quelle che si basano sull’esperienza acquisita e sulla consapevolezza di come potrebbe essere ottimizzata l’attività che la persona svolge; le idee negative vanno registrate perché riguardano tutti gli errori e gli sprechi di cui le persone hanno consapevolezza, sempre riguardo al proprio ruolo.
I consulenti junior della società fissano, a prescindere dal livello gerarchico, un colloquio personale e riservato con ognuna delle persone individuate o con altre che potrebbero emergere dai colloqui. L’anonimato è garantito. Gli stessi junior, poi, ricevute le informazioni procedono a una raccolta ordinata e funzionale delle stesse. I consulenti senior, messi a conoscenza degli obiettivi e verificata la coerenza degli stessi con le risorse dell’impresa, grazie ai suggerimenti raccolti nel field dagli junior preparano con questi ultimi il progetto dettagliato di ristrutturazione, che tiene conto anche delle condizioni dell’azienda e del mercato di riferimento.
Il committente riceve il piano e normalmente, se lo applica attenendosi alle indicazioni, raggiunge gli obiettivi desiderati.
L’esperienza diretta in due grandi banche reti vissuta con due diverse società di consulenza, a distanza di quindici anni l’una dall’altra, conferma che il metodo è valido, visti i risultati raggiunti e in crescita.
Il processo è molto più complesso di com’è stato sintetizzato, ma quello che conta è la possibilità di trarne delle indicazioni. La prima è che per affrontare un problema è necessario avere chiari gli obiettivi a cui si mira; la seconda è la constatazione che chi opera in una certa realtà sa bene come la sua attività possa contribuire a innovare efficacemente o a rendere più efficiente il processo e il settore di competenza. Le persone, se sono sollecitate attraverso il riconoscimento del loro valore, sono prontissime a dare il meglio mettendo a disposizione le proprie idee, l’esperienza e spesso un contributo creativo.
Il metodo funziona anche in un contesto meno impegnativo, nella normale attività aziendale ovvero ascoltare con attenzione i punti vista ed i suggerimenti dei collaboratori. Il risultato è duplice: da un lato le persone interpellate sono soddisfatte di contribuire, dall’altro vivono il conseguimento dell’obiettivo come un merito proprio e per queste ragioni s’impegnano al massimo quando i “suggerimenti” sono adottati. Il fattore determinante è avere l’intelligenza di accogliere i contributi senza pregiudizi, ordinarli, selezionarli, amalgamarli e trasferirli professionalmente in un piano imprenditoriale, settoriale o meno.
Tra la normale enunciazione di un manager – “Questi sono gli obiettivi che dovete raggiungere, vi dico io come dovete fare!” – e il metodo esposto, è da preferire il secondo. Un manager può avere già in mente le stesse idee che gli saranno suggerite e se coincidono con quelle dei propri collaboratori avrà la quasi certezza di essere nel giusto e un’elevata probabilità di raggiungere gli obiettivi.
La capacità di ascoltare insieme alla maieutica sono doti indispensabili per un manager: se al raggiungimento dei risultati desiderati darà pubblico riconoscimento dell’importanza dei contributi ricevuti, il manager costituirà intorno a sé un team di persone fidelizzate. Una fidelizzazione basata sulla soddisfazione di essere considerati e ascoltati è molto più solida di quella basata su motivazioni economiche. Ascoltare i collaboratori e motivarli a collaborare è un metodo efficace, a costo zero, e se si dà seguito ai pareri, coerentemente con gli obiettivi manageriali, non è manipolatorio.
Un buon manager e un valido imprenditore possono essere in grado di raggiungere autonomamente gli stessi risultati. La differenza è che l’ascolto crea intorno al manager un gruppo di persone che hanno piacere a collaborare e lavorano soddisfatte; l’altro metodo, quello del “comando”, crea solo persone che sono tenute a eseguire più che a collaborare. Il tempo impiegato ad ascoltare è recuperato da una produttività più elevata.
Il metodo va chiaramente adoperato con discernimento: è opportuno iniziare ad ascoltare le persone più capaci, evitare gli yes man o “untori aziendali”, far lievitare fra tutti i collaboratori il desiderio di far parte del team, motivare chi dà consigli futili a sforzarsi di approfondire le idee. Il metodo va usato sempre con i collaboratori diretti, abituandoli a procedere nello stesso modo con i propri: se i livelli sono più di uno è opportuno che il referente stili una relazione condivisa dai collaboratori. Quando dai colloqui emergono idee brillanti, nel rapporto bisogna citare l’autore; le idee brillanti e redditizie vanno fatte conoscere e premiate tangibilmente, oltre la citazione che è già un premio.
Un manager che opera in questa maniera sta costruendo la sua leadership. Imprenditori, anche di successo, cui i dipendenti riconoscono leadership sono più rari, perché spesso il comportamento imprenditoriale è meno coinvolgente di quello manageriale. La leadership è una conquista ed un riconoscimento, significa guidare: la differenza rispetto a dirigere non è indifferente, comandare è molto più semplice ma meno efficace. Il “segreto”, per così dire, sta nell’offrire alle persone quello cui agognano: dimostrare di esistere e ricevere il riconoscimento delle proprie capacità.
L’ascolto è quel senso che ci consente di apprendere? Sì, l’esempio è lampante: il linguaggio. Impariamo a parlare ascoltando.