Usiamo meno del 10% dell'intelligenza... artificiale
Il tunnel del Digital Hub di Bain & Company a Milano

Dici intelligenza artificiale e le aziende si tappano le orecchie. Non ne vogliono sentir parlare e se ne parlano loro quasi sicuramente lo fanno a sproposito. Perché tutto quello che è nuovo rischia di rompere l’equilibrio del “si è sempre fatto così” e cambiare strada è troppo faticoso. Di fatto, stando all’analisi di Bain & Company, quasi metà delle aziende che impiegano l’intelligenza artificiale la sfruttano meno del 10%. La società di consulenza, che in Italia conta su circa 200 clienti – incluse parecchie Pmi – nell’assistere le imprese sull’impervia via della digital innovation sta tenendo il polso del cambiamento: il numero di aziende che negli ultimi sei anni ha inserito nell’organigramma figure di Chief Digital Officer e di Chief Analytics Officer si è più che quintuplicato, arrivando oggi a quota 63%. Anche l’intelligenza artificiale ha subito un balzo, con il 60% degli intervistati in occasione della Bain 2021 AI/ML Customer Survey che, tra il 2018 e il 2021, ha adottato almeno uno dei modelli legati a questo tipo di tecnologia. Finora sono stati implementati soprattutto use case per i clienti (insight, targeting, servizio, ecc.), operativi (per esempio, automazione del flusso di lavoro, modelli di prezzo, previsione della domanda) e per standard intersettoriali (ad esempio, gestione IT, pianificazione finanziaria) o specifici per settore (ad esempio, diagnosi automatizzata nel settore sanitario; utilizzo delle risorse e pianificazione a lungo termine nel settore industriale). Ma si tratta di un trend ancora agli inizi, con un potenziale incredibile: il 40% delle aziende che usano l’intelligenza artificiale, lo fanno per meno del 10% delle sue applicazioni (per un valore di circa 300 milioni di euro). Arrivare al 90% di potenziale vorrebbe dire toccare quota 3 miliardi di euro.

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Nuova operatività ristori Emilia-Romagna

A partire dal 21 novembre ampliata l’operatività dei Ristori da €300 milioni riservati alle imprese colpite dall’alluvione in Emilia-Romagna. La nuova misura, destinata a indennizzare le perdite di reddito per sospensione dell’attività per un importo massimo concedibile di 5 milioni di euro, è rivolta a tutte le tipologie di impresa con un fatturato estero minimo pari al 3%.



«Costo, facilità di integrazione e time to market sono i primi tre criteri a cui le aziende guardano, quando decidono di adottare modelli di intelligenza artificiale o di machine learning», spiega Emanuele Veratti, Partner e Digital Practice Leader di Bain & Company. «Spesso, però, questi criteri sono limitanti e – data soprattutto la difficoltà di calcolo e l’incertezza rispetto al ritorno sugli investimenti – molte aziende evitano o limitano gli investimenti in questi modelli, non sfruttando le grandi opportunità che esistono in questo momento sul mercato». Questi ostacoli sono quelli che frenano poi l’adozione dei modelli di intelligenza artificiale: solo il 25% dei progetti di questo tipo raggiungono gli obiettivi prefissati, e solo un terzo delle iniziative AI-driven riesce a raggiungere la scala prevista.

D’altra parte in un tessuto imprenditoriale come quello italiano, fatto perlopiù di piccole e medie imprese e da aziende familiari, un certo tradizionalismo c’è da aspettarselo. Per questo l’approccio di Bain & Company è tutto fuorché respingente e le imprese non vengono messe di fronte alla classica “divisione” verticale che si occupa solo di digitalizzazione: «La nostra è una strategia one team», continua Veratti, «in cui si pende un unico nome, quello di Bain & Company, offrendo consulenza integrata».

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Emanuele Veratti, Partner e Digita Practice Leader di Bain & Company

Secondo la società, la sfida più urgente che le aziende devono affrontare oggi è quella di individuare e applicare un modello efficace di governance e di responsabilità per la gestione dei dati. Soprattutto in Europa, dove solo il 18% delle imprese ha implementato processi di revisione, approvazione e monitoraggio per l’utilizzo dei dati, e meno di un quarto delle imprese ha inserito nella propria struttura aziendale un Chief Privacy Officer. Eppure, è evidente come la pandemia abbia accelerato i trend già in atto sul fronte digitale, favorendo le aziende digitalmente pronte, quelle cioè che sono riuscite a cogliere nuove opportunità. E il boom di digitalizzazione, l’esplosione dei Big Data, la crescita esponenziale dei sensori e dell’Internet of things, la personalizzazione della customer experience dettata dal marketing di nuova generazione stanno portando un’attenzione nuova e rinnovata sul tema dei dati. «I dati rappresentano un nuovo imperativo per le imprese e l’intelligenza artificiale un game changer che trasformerà la nostra società e il futuro dell’economia globale», sottolinea Vittorio Bonori, Aag Emea Expert Partner di Bain & Company. «C’è una congiuntura astrale particolarmente favorevole che vede crescere capacità computazionale, accessibilità ai dati e figure professionali come i data scientist. Oggi solo un’iniziativa su tre in ambito di intelligenza artificiale è scalabile. E noi crediamo di poter giocare un ruolo di primo piano nel supportare le imprese».

Vittorio Bonori, Aag Emea Expert Partner di Bain & Company