Usa - Cina, più probabile il no deal:e se a guadagnarci fossero i cinesi?
Jeff Parker, Chief Investment Officer Equity US di AllianzGI, Raymond Chan, Chief Investment Officer Equity Asia Pacific, e Joerg de Vries-Hippen, Chief Investment Officer Equity Europe.

Alla conferenza stampa Investment Forum di Allianz, l’appuntamento che riunisce due volte all’anno strateghi d’investimento e gestori di portafoglio di tutte le attività globali di AllianzGI per discutere le tendenze a medio e lungo termine dei mercati finanziari, nella sede di AllianzGI’s a Francoforte si parla di macro-scenari, e in particolare dell’evoluzione della guerra commerciale tra Stati Uniti e Cina.

Per gli analisti di Allianz GI dopo i nuovi dazi decisi dall’amministrazione Trump per 200 miliardi di dollari di beni importati dalla Cina, e dopo la ritorsione cinese da 60 miliardi, le probabilità che un accordo non venga raggiunto sono aumentate.

In particolare, le probabilità di un accordo pieno, con il successo delle trattative e il completo ritiro dei dazi introdotto, sono minime: solo il 15%. Lo scenario più probabile è quello di un accordo parziale, dato al 45%: le trattative sfocerebbero in una risoluzione che affronta lo squilibrio commerciale, ritirando alcuni dei dazi introdotti, ma non tutti. 

Ma lo scenario di un no deal è a poca distanza, al 40%: in questo caso le trattative si risolverebbero in un fallimento, i dazi rimarrebbero e impatterebbero negativamente su entrambe le economie. Neil Dwane, global strategist di AllianzGI, ha sottolineato l’importanza per l’esito della partita della campagna elettorale che attende il presidente americano Donald Trump, affermando che le parti al momento sembrano molto distanti.

Per Dwane la guerra in corso, specie in campo di tecnologia, richiederà ai paesi di scegliere se stare nella supply chain degli Stati Uniti, oppure no. Il global strategist ha anche introdotto un tema poi ulteriormente sviluppato nel corso del dibattito: nel giro di soli tre anni la Cina potrebbe riuscire a rendersi del tutto autonoma dalla tecnologia americana.

Raymond Chan, chief investment officer equity Asia Pacific di AllianzGI, dati alla mano ha confermato la forza della Cina, e più in generale dell’Asia: il Pil a parità di poter d’acquisto della Cina è già il primo del mondo, superiore a quello degli Stati Uniti; ma nel 2030 sarà più del doppio, e gli Usa saranno superati nettamente anche dall’India.

“L’Asia è il place to be nei prossimi 30 anni, perché lì ci sarà la crescita”, ha affermato Chan. Che poi ha aggiunto: la Cina vuole un accordo con gli Usa, ma se non sarà possibile raggiungerlo, alla Cina non importa. “Trump è imprevedibile, avrebbe molto senso un accordo, ma la Cina deve essere rispettata nel negoziato. Credo che alla fine comunque un accordo si troverà, perché Trump vuole essere rieletto”, ha aggiunto Chan.

Alla domanda su un’analogia tra gli effetti paradossalmente benefici per l’economia russa delle sanzioni imposte a Mosca, che hanno costretto l’industria, l’agricoltura e l’allevamento a ricominciare a produrre (da qui il motto “More sanctions, please!” di Russia Insider), e quelli che potrebbe avere sull’economia cinese un mancato accordo con gli Stati Uniti, Chan ha risposto affermativamente: “sul breve periodo ci sarà qualche problema, sul medio l’economia cinese ne uscirà rafforzata”.

Joerg de Vries-Hippen, chief investment officer equity Europe, dopo aver sostenuto la necessità che gli europei sappiano fare sistema per competere sui mercati globali, ha affermato che la politica di Trump sta rischiando paradossalmente di favorire la Cina.

Jeff Parker, chief investment officer equity US, ha sottolineato che Trump vuole essere rieletto, e se dovesse capire che la sua convenienza elettorale lo spinge a un accordo potrebbe fare in fretta marcia indietro, e scegliere un accordo.

*inviato da Francoforte