La collaborazione tra le università italiane e le aziende si consolida grazie al network e Cuoa (University Network Business School), presieduto da Federico Visentin
Le Università italiane sembrano passate da un sostanziale arroccamento a una politica di aperture e alleanze, come dimostra l’importante adesione di diversi Atenei all’interno del vostro network. Perché è importante?
La collaborazione tra imprese e università, dal punto di vista sociale, economico e
istituzionale, è uno degli elementi determinanti per stimolare innovazione e occupazione di
qualità. Il progetto CUOA University Network Business School si pone l’obiettivo di
aggregare le eccellenze delle Università italiane attorno al CUOA, per lo sviluppo di
competenze sempre più utili per le imprese e le organizzazioni. La nostra azione punta a
operare in un’ottica non competitiva, ma cooperativa, per sviluppare congiuntamente
attività di alta formazione manageriale e imprenditoriale, mettendo a disposizione dei
diversi territori l’esperienza, le competenze e le relazioni sviluppate nei 65 anni di attività di
CUOA. Abbiamo saputo aggregare delle eccellenze formative nazionali, che vorremmo
ampliare con Università straniere. Un progetto originale e unico in Italia, che ha l’obiettivo
di valorizzare le esperienze e competenze del CUOA con quelle dei singoli Atenei.
Dalle materie prime alla sicurezza, dalla guerra in Europa all’inflazione: quanto è determinante la cultura d’impresa e la formazione per superare e vincere queste sfide?
Fin dalla nascita il CUOA ha avuto nel suo DNA la vicinanza alle imprese. Ci siamo posti
subito come ponte tra l’impresa e la formazione, in particolare quella universitaria, con una
solida attività di ricerca scientifica e una metodologia dal taglio fortemente pratico e
applicativo. Il dialogo quotidiano con le imprese ci consente la massima concretezza nei
nostri percorsi. Le imprese oggi hanno una piena consapevolezza di quanto sia grande il
bisogno di formazione come reale vantaggio competitivo e come elemento essenziale per
poter affrontare i contesti incerti e turbolenti che stiamo vivendo.
Si parla molto di digitale: che cosa implica davvero questo cambiamento?
Il digitale è un dato di fatto. Le imprese si trovano a dover adeguare processi, prodotti,
servizi. Prima ancora però la transizione digitale ha reso prioritario un forte lavoro sulle
organizzazioni, richiede un salto culturale, necessario per rendere le persone capaci di
adattarsi a un nuovo mondo e a un nuovo modo di operare. Il digitale ha in sé molte
potenzialità, ma anche molte insidie. Oltre agli aspetti tecnici, la vera sfida del digitale è la
capacità che l’organizzazione ha di governarlo. Il primo passo è preparare le persone al
cambiamento, introducendo formazione tecnica e lavorando parallelamente anche sul
piano della relazione e della motivazione, ad esempio con progetti di leadership
partecipativa. Non è poi da trascurare il gap generazionale: nelle nostre imprese
convivono generazioni a “propensione digitale” fortemente diversa. Il lavoro sulla cultura e
sull’organizzazione è necessario anche per avvicinare le sensibilità e fare in modo che il
dialogo sia aperto e proficuo.
Voi lavorate molto con il mondo aziendale: che tipo di approccio adottate?
La nostra scuola lavora prevalentemente con le PMI, realtà dimensionalmente contenute,
ma capaci di esprimere grande valore e distintività. Questo aspetto è il driver della nostra
attività e risponde alle caratteristiche del nostro territorio: ci affianchiamo a imprenditori e
manager con percorsi di accompagnamento e progettualità molto specializzate e focalizzate. Il nostro approccio non ha nulla di precostituito, perché ogni organizzazione ha
priorità e necessità proprie. Spetta a noi di trovare con loro la giusta soluzione.
Spesso si lamenta la distanza tra formazione ed esigenze delle imprese. Com’è possibile ridurla?
Partiamo da un dato: in Italia la spesa per l’istruzione universitaria è di circa il 30%
inferiore alla media dei paesi Ocse e l’incidenza dei ricercatori è bassa. La svolta potrebbe
essere impressa proprio dal Pnrr con gli 11,4 miliardi di euro destinati alla voce “Dalla
ricerca al business” per sostenere gli investimenti in ricerca e sviluppo, promuovere
innovazione e diffusione di tecnologie e rafforzare le competenze favorendo la transizione
verso un’economia basata sulla conoscenza. Tuttavia, oltre ad avere difficoltà per gli
investimenti e gli approvvigionamenti, gli imprenditori stanno facendo una grande fatica a
trovare i profili professionali necessari. Se a giugno del 2021 il mismatching riguardava il
56% delle aziende, a giugno 2022 la percentuale è salita al 71%. Si tratta di personale con competenze tecniche sia di base che tecnologico-digitali.
Il problema alla base è culturale. Dobbiamo trasmettere meglio il valore del lavoro e
dell’impresa manifatturiera. Siamo la seconda economia industriale in Unione Europea
nonostante le difficoltà, i ritardi e il dialogo non sempre efficace tra mondo della scuola e
quello delle imprese. Il modello tedesco è da prendere come esempio e giustamente è
stata approvata lo scorso giugno la riforma degli Its Academy. L’inserimento dei diplomati
degli Istituti tecnici superiori sfiora il 90%. Per quel che riguarda l’alternanza scuola lavoro
ritengo sia uno strumento utile, che può servire non solo come orientamento e
affiancamento nei programmi scolastici, ma anche come opportunità per migliorare le
capacità dei nostri ragazzi, perlomeno per coloro che frequentano gli Istituti Tecnici.
Che cosa dovrebbe fare il mondo delle imprese italiane per fare un salto di qualità?
Aumentare le dimensioni delle imprese, che è una necessità impellente e improrogabile.
Come CUOA ci impegniamo a sostenere percorsi di sviluppo delle competenze necessarie
a costruire e guidare una crescita strutturale, che riguarda il modello di business, ma
anche la gestione delle persone. Lavoriamo per promuovere un approccio scientifico alla
crescita e questo si può fare solo con manager di esperienza e competenti. Oggi è
maggiore la consapevolezza che le dimensioni siano un problema: in una competizione
globale se le imprese non riescano a strutturarsi, a governare il cambiamento rischiano di
essere acquisite dai grandi gruppi stranieri. Io credo fermamente nella qualità delle nostre
imprese, abbiamo delle vere eccellenze, e credo nella necessità di preservare questa
ricchezza, di tutelarla. Il percorso più utile a questo scopo è quello di lavorare sullo
sviluppo delle competenze e sull’acquisizione degli strumenti necessari a leggere le sfide
del futuro, anticiparle, strutturarsi anche attraverso sinergie e aggregazioni. Credo che
questo sia l’unico modo di fare un salto di qualità che veda l’Italia come sistema
economico ancora più competitivo sui mercati internazionali.
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