Il presidio dei conti pubblici non è un’opzione, è un obbligo: o le autorità europee ce li approvano o i mercati ci bastonano, lo sfascio della Grecia è lì, a due passi, a ricordarcelo. Quindi se un intervento correttivo degli effetti finanziari del Superbonus era necessario – e lo era – andava fatto.
Non così, però: né nei tempi né nei modi.
E infatti il precipitoso correre ai ripari del governo, incalzato dalle pressioni dei danneggiati – che sono tantissimi – è innanzitutto la dimostrazione della consapevolezza di quanto il blitz sia stato maldestro.
Lo è stato per i tempi: guarda caso, il provvedimento è stato emanato pochi giorni dopo le elezioni amministrative: hai visto mai che, a vederselo sui giornali il giorno prima, qualche elettore dovesse ripensare le proprie scelte indispettito dallo scippo. Poi: far partire su carta intestata di Palazzo Chigi un comunicato sgangherato e impreciso, capace di destare il massimo allarme, senza poi poter evitare di dichiararsi immediatamente pronti a modifiche, è da dilettanti. E quasi senza considerare – per pudore, se non per ragioni di merito – le garanzie che durante la campagna elettorale per le ultime politiche la premier Giorgia Meloni in persona aveva profuso (ma il web è lì a documentarle, a portata di click).
Dunque, una misura che l’attuale governo aveva ereditata, fatta male, pasticciatissima, protratta troppo, corretta mille volte sempre in peggio, ora si incaglia su uno stop apodittico che verrà moderato e modulato, ma sempre in modo confuso, sgangherato, ansiogeno. Una sequela di errori su errori, essenzialmente colpa di uffici ministeriali politicizzati e dunque inadeguati, o per incompetenza o per malafede, a lavorare come si deve.
E tutto questo senza entrare nel merito degli effetti economici complessivi del provvedimento, che varie volte più di una fonte analitica autorevole – non ultima Nomisma, certo non meloniana – ha valutato positivamente.
Ma c’è un punto essenziale, su cui il governo in carica ha perso terreno agli occhi di chi l’ha votato: aver minato ulteriormente la già scarsissima fiducia del cittadini nello Stato. Rimettere in discussione un diritto acquisito può essere necessario, e ammettiamo che stavolta lo fosse: ma va fatto in punta di piedi e chiedendo scusa. E spiegandosi bene. Questo modo di procedere a sportellate è ridicolo, prima che iniquo, ed è inefficiente.
Viviamo in un Paese – notizia di oggi – in cui il Consiglio di Stato può bloccare le norme per la digitalizzazione dei concorsi nella pubblica amministrazione che hanno permesso di ridurre a un quarto i tempi di espletamento motivandolo con una serie di cavilli su controlli e metodi: e si pretende di usare la scure per abbattere un provvedimento-bandiera, salvo poi dover correre ai ripari ripristinando sotto altre etichette quanto appena abolito?