C’erano centinaia di auto luccicanti, decine di modelli nuovi, show car da sogno. Ma al Salone dell’auto di Parigi che si è chiuso il 14 ottobre nessuno sapeva rispondere alla domanda che gli addetti ai lavori formulano a mezza bocca, tra sé e sé, ossessivamente: «Come facciamo a convincere i clienti a comprare un’auto elettrica»? Non solo perché mentre a Parigi sfilava l’industria automotive, 373 chilometri più a est, in Lussemburgo, il 9 ottobre i ministri dell’ambiente degli Stati membri dell’Unione Europea ratificavano una dichiarazione di guerra, quella alle emissioni, imponendo di abbatterle del 35% per i veicoli e del 30% per i van entro il 2030. Ma soprattutto perché per il 2021, praticamente dopodomani, l’Ue ha fissato il limite delle emissioni medie delle auto vendute per ogni singolo costruttore a 95 grammi di CO2 al chilometro. Nessuna casa automobilistica lo ha raggiunto. E l’unico modo per farlo è, ça va sans dire, l’auto elettrica. Così, davanti ai giornalisti i manager sfoggiano un sorriso smagliante e mettono in campo tutta la propria inventiva. Ma mentono sapendo di mentire, perché la risposta ancora non ce l’ha nessuno. E da questa dipende il loro posto di lavoro e quello di centinaia di migliaia di persone, il futuro di un intero comparto e e di un indotto gigantesco. Tutti sono stretti all’angolo del ring, come un pugile che sta per andare al tappeto, colpiti ripetutamente dalle istituzione europee, dai parlamenti nazionali, dalle amministrazioni locali. Con l’aggravante che alcuni dei pugni sono anche colpi bassi che restringono la via percorribile a una sola, stretta e tortuosa: vendere auto elettriche che, ancora, nessuno vuole.

Nel 2021 In Europa dovranno essere immatricolate poco meno di 3 milioni di auto elettriche: un obiettivo fin troppo ambizioso
 

Traguardi irraggiungibili

Ma quante auto elettriche devono essere vendute nel 2021 in Europa? La risposta è 2,9 milioni di veicoli che funzionano solo a batteria: poco meno del 20% del mercato. Potete fidarvi o fare i calcoli che abbiamo fatto noi con questi dati: vendite in Europa stabili a 15 milioni, emissioni medie di CO2 delle auto vendute nel 2017 a quota 118,5 grammi al chilometro e media che dovranno raggiungere nel 2021 fissata dalla Ue a 95. Tutte insieme le auto nel 2021 dovranno produrre 1.425 milioni di grammi di CO2. Non uno di più. E se dividiamo questo dato per i 118,4 grammi al chilometro delle auto a motore termico il risultato è che non potranno essere vendute più di 12 milioni di auto diesel o benzina. Il resto dovranno essere, per forza, elettriche pure. Se parliamo di auto ibride, che hanno una emissione di circa 50 grammi al chilometro, i calcoli sono leggermente più complicati, ma se ne dovrebbero vendere in Europa circa 5 milioni nel 2021. Volendo, poi, si può calcolare quante auto elettriche devono essere immatricolate in Europa nel 2030, quando dovrebbe scattare un ulteriore taglio del 35% alle emissioni votato dalla Commissione europea: i veicoli a impatto zero da vendere sono poco meno della metà del totale: 7,2 milioni.

Per l’associazione dei costruttori la Ue vuole forzare l’industria in una drammatica trasformazione a tempi di record

Aspettative vs realtà

Nel 2017 in Europa ci sono state 149.086 nuove immatricolazioni di auto al 100% elettriche, con un aumento del 43,9% rispetto al 2016. Questi veicoli sono stati lo 0,9% del mercato (nel 2016 erano lo 0,6%). In Norvegia ne sono state vendute oltre 33 mila, più che in Francia o in Germania. Neanche se per un miracolo (autentico) raddoppiassero le immatricolazioni ogni anno i costruttori riuscirebbero a raggiungere l’obiettivo di venderne quasi tre milioni nel 2021. Eppure ci stanno provando. Tutte insieme, le case automobilistiche nei prossimi otto anni investiranno 255 miliardi di euro, hanno annunciato il lancio di 167 modelli totalmente elettrici entro il 2022, hanno stretto  95 nuove partnership industriali nel 2017 con soggetti estranei al settore, ma attivi nel campo dell’elettrificazione. «La sfida è enorme» ha spiegato a Parigi Sergio Solero, presidente di Bmw Italia «ma stiamo facendo progressi grazie alla ricerca e agli investimenti messi in campo: in quattro anni siamo riusciti a raddoppiare l’autonomia della nostra I3 e queste nuove batterie saranno installate anche sulle nuove ibride plug in che potranno percorrere una ottantina di chilometri usando solo il motore elettrico. Un range di utilizzo che diventa molto interessante per la maggior parte degli automobilisti».

Forzare la mano

«Vogliono forzare l’industria in una drammatica trasformazione a tempi di record», ha spiegato Erik Jonnaert, segretario generale dell’Acea, l’associazione europea dei costruttori d’auto. E non ha tutti i torti. L’Olanda ha deciso che dal 2025 non si potranno più acquistare auto che utilizzano carburanti fossili, a meno che non siano ibride, mentre dallo stesso anno in Norvegia potranno essere venduti esclusivamente veicoli elettrici.  Ma la “bomba” infilata nei bilanci delle case automobilistiche sono le sanzioni dell’Unione europea. Secondo Pa Consulting soltanto quattro costruttori riusciranno a rimanere dentro nei limiti imposti dalla Ue nel 2021: Jaguar Land Rover, che vendendo meno di 300 mila auto ha un limite posto a 130 grammi al chilometro di CO2; Volvo, che ha annunciato di non voler produrre auto che abbiano solo motori termici dal prossimo anno; Toyota, che punta tutto sull’ibrido e Renault-Nissan, che a una gamma di vetture abbastanza piccole affianca due delle auto elettriche attualmente più vendute, la Zoe e la Leaf. Tutti gli altri sforeranno il limite di 95 grammi al chilometro e dovranno pagare le multe. Andranno dall’1% dell’ebit 2017 per Daimler, che ha deciso di “sacrificare” il brand Smart trasformandolo in un marchio solo elettrico per abbassare la media della sua gamma, al 17% dell’ebit per Peugeot-Citroen, al 21% per Fiat-Chrysler. Automotive news si è preso la briga di quantificare in denaro le percentuali e chi dovrà pagare di più sarà il Gruppo Volkswagen (1,6 miliardi di euro), seguito da Fca, che dovrà sborsare 950 milioni.   

Il prezzo dell’elettricità è meno della metà del costo dei carburanti tradizionali,  ma in futuro potrebbe salire

L’elettrico che (non) piace

Se siete uno dei due milioni di italiani che lo scorso anno hanno comprato un’auto e hanno preferito un motore termico, sapete bene perché non avete scelto un veicolo elettrico: gli svantaggi sono più dei vantaggi, almeno per ora. Costa di più. Bisogna aver un box dove poter ricaricare l’auto o almeno disporre vicino a casa di una centralina stradale che si spera sia libera quando ne avete bisogno. I tempi per fare il pieno di energia sono incommensurabilmente più lunghi di quello di un rifornimento di carburante. È molto impegnativo pensare a un viaggio in autostrada ed è impossibile farne un uso intenso su distanze medio lunghe. Di contro, non ci sono limitazioni alla circolazione nelle grandi città, guidare un’auto green significa dare di se stessi un’immagine cool e si spende meno per i rifornimenti. Per adesso. Perché la società di consulenza Alix Partner ha calcolato che, se ora il costo dell’elettricità è meno della metà di quello dei carburanti tradizionali, potrebbe salire quando entreranno nel mercato investitori privati che pretenderanno un ritorno rapido degli investimenti effettuati nelle infrastrutture. «Per riuscire a venderle, le auto elettriche devono fare almeno 400 chilometri con le batterie cariche», spiega Luca De Meo, presidente di Seat, la casa automobilistica spagnola del Gruppo Volkswagen. «Si devono caricare in fretta e devono costare non più del 10-15% delle vetture normali. È quello che stiamo realizzando con la nuova piattaforma su cui stiamo lavorando in Volkswagen. Ce la faremo? Noi ci stiamo lavorando, ma è il mercato che alla fine ha sempre l’ultima parola. L’unico fattore che non possiamo controllare è quello delle infrastrutture, ma se le aziende energetiche vedranno che c’è la domanda, investiranno».

Due problemi al posto di uno

Mettiamo che il miracolo si compia e gli obiettivi vengano raggiunti. Mettiamo anche che la produzione di energia per ricaricare milioni di auto elettriche fosse disponibile, che l’Europa si riempisse di colonnine e che l’energia venisse prodotta senza ricorrere ai combustibili fossili. In questo caso si sarebbe risolto un problema ambientale per crearne almeno altri due tutti nuovi: i danni provocati dall’estrazione di materie prime per realizzare le batterie e il loro smaltimento. Il cobalto, che, insieme al litio, è la componente fondamentale degli attuali accumulatori di energia, si trova soprattutto nelle miniere dell’Africa centrale, dove più volte sono state denunciate situazioni di sfruttamento della manodopera, incidenti gravi e lavoro minorile. Il cobalto si trova in tutte le batterie degli smartphone, ma in questi ultimi se ne utilizzano un paio di decine di grammi. Per le batterie delle automobili ne servono invece chili ed è questo il motivo per cui il prezzo del metallo è più che raddoppiato negli ultimi anni. Riciclare le batterie, poi, non è affatto un’operazione facile, dato che molti dei suoi componenti sono pericolosi per la salute e per l’ambiente. Ancora oggi le batterie cellulari non vengono riciclate, ma bruciate in appositi inceneritori in Francia e in Belgio. Come pensate che verranno smaltite le ingombranti batterie delle auto?

Il 31% degli addetti non saranno più necessari e di questi soltanto poco più della metà potranno essere riqualificati nel settore

Il lavoro che non ci sarà

Qualcuno, a Bruxelles, sottovaluta il fatto che per realizzare un’auto elettrica occorrono meno componenti e meno ore di montaggio. Pa Consulting ha calcolato che il 31% degli addetti all’industria automobilistica europea (267 mila su 840 mila) non saranno più necessari e di questi solo poco più della metà, 141 mila, potranno essere riqualificati per le nuove funzioni da svolgere. Insomma, avremo 126 mila disoccupati in più, senza contare i lavoratori dell’indotto. Herbert Diess, il ceo di Volkswagen, ha parlato a Parigi di 100 mila posti di lavoro a rischio solo nella sua azienda nei prossimi dieci anni e, per rendere meglio l’idea, ha aggiunto che «un’industria può collassare più velocemente di quanto molti credono», mentre il problema rimane: «Con il voto della Commissione europea» ha detto Bernard Mattes presidente della Vda, l’associazione dei costruttori tedeschi, riferendosi ai tagli alle emissione del 35% nel 2030 «abbiamo perso l’occasione di modellare la regolamentazione della CO2 in modo economico e tecnologicamente realistico».

A proposito: leggendo questo articolo il vostro corpo ha emesso più o meno 14 grammi di CO2. Ma non ditelo all’Unione europea.