Mettete in mano a un bambino un foglio di carta e una matita e ditegli di disegnare un orologio. State pur certi che come prima linea traccerà un bel cerchio per la cassa e poi, a seguire, tutto il resto. Nella percezione comune, infatti, la forma del segnatempo è prima di tutto tonda.
Merito di un retaggio che ha privilegiato da sempre la produzione di quadranti circolari nella pendoleria, negli orologi da tavolo, in quelli da tasca e, infine, in quelli da polso. Una scelta di praticità nella visualizzazione, dovuta alla misura del cerchio, 360 gradi, come multiplo di 60 e quindi dell’unità della scala sessagesimale alla base della scansione del tempo; una forma che facilita la distribuzione geometrica sul quadrante stesso degli indici delle ore e dei minuti.
Il quadrante tondo è quindi la visualizzazione di un concetto del tempo lineare, più radicata nel pensiero occidentale, in forma di tempo circolare, alla base della filosofia indiana e di quella buddhista. Quasi una sintesi, se non una contraddizione. Contraddizione che torna anche nell’etimologia di ciò che, negli orologi, è in forma circolare pur chiamandosi quadrante. Contraddizione in fin dei conti apparente, visto che il quadrante è detto così perché è, in sostanza, un quarto di cerchio.
L’origine del sostantivo è astronomica e risale al nome dello strumento (a forma, appunto, di quarto di cerchio) utilizzato fin dall’antichità per calcolare l’altezza angolare di un corpo celeste rispetto alla linea dell’orizzonte, determinando così metodi, misure e proiezioni necessarie per restituire in forma geometrica le apparenti rotte planetarie degli astri. Del resto, l’orologio, altro non è se non un preciso simulatore del moto solare apparente. Insomma, alla fine, tra cerchi e quadrati, come recita il titolo di questo pezzo, tutto quadra.
Perché la cassa tonda, fortunatamente, non è un dogma e proprio sulla rottura di questo dogma molte Maison hanno costruito, se non la loro fortuna, di certo modelli e suggestioni entrate ciascuna a suo modo nella storia dell’orologeria.
Nell’alto dei cieli
È il caso, per cominciare, del Santos di Cartier. Considerato unanimemente come uno dei simboli dell’Alta Orologeria di tutti i tempi, il Santos nacque all’inizio del ‘900 grazie al pioniere dei cieli Alberto Santos-Dumont. Nel 1904 il pilota brasiliano ordinò il primo orologio da polso moderno all’amico gioielliere parigino Louis Cartier; uno strumento pratico per conoscere l’ora durante il volo, senza dover staccare le mani dai comandi per estrarre un orologio dal taschino.
Il design essenziale, il quadrante di forma quadrata con le viti lasciate appositamente a vista e il cinturino ergonomico sono tratti distintivi che hanno attraversato oltre cento anni di storia orologiera. Il Santos è stato declinato in diverse varianti e realizzato in metalli preziosi o acciaio; vogliamo focalizzarci sulla nuova versione del Santos-Dumont presentata all’ultimo Salone dell’Alta Orologeria di Ginevra lo scorso gennaio.
Montato su un cinturino d’alligatore, non tradisce lo stile elegante del modello del 1904 ed è proposto con cassa in oro, oro e acciaio, o acciaio, numeri romani, viti a vista e corona di carica perlata con cabochon di zaffiro. Immutata, la forma squadrata, in cui trova eco la geometria parigina di inizio ‘900 che ne promuove la linea pulita e la simmetria, metafora dei quattro spigoli vivi della Torre Eiffel.
Il tempo è un oggetto
Rimanendo in Francia, un’altra cassa quadrata simbolo dell’Alta Orologeria è quella del Carré H di Hermès. Gli orologi che escono dalla Maison parigina nascono tutti da un concetto di base: per Hermès il tempo è un oggetto, come quelli che gli artigiani del marchio plasmano per renderli complici di chi li usa.
Partendo da questa idea, il brand ha saputo convertire la tensione che pervade il tempo in qualcosa di originale. Al di là del compito di misurarlo, scandirlo, monitorarlo, con orologi come il Carré H la maison tocca un altro tempo, destinato a suscitare emozioni e a creare spazi di fantasia.
Creato dal designer francese Marc Berthier nel 2010, l’orologio è stato presentato quest’anno in una nuova versione, dotata di un cinturino in pelle traforata con finitura in vividi colori; realizzato in vitello Barénia nero o naturale, la sua perforazione riprende la geometria circolare del quadrante.
La finitura nei colori, rosso o giallo acceso, è intonata alla lancetta dei secondi, che sorvola un quadrante nero o grigio guilloché e grainé. Rimangono i tratti distintivi del Carré H: la modernità della cassa quadrata in acciaio con spigoli smussati e la leggibilità del suo quadrante.
Quadrato per eccellenza
Un altro simbolo è il Monaco, di Heuer prima e di TAG Heuer poi. Compie in questo 2019 i suoi primi 50 anni quello che è stato il primo cronografo a cassa quadrata a essere reso impermeabile. Una conquista tutt’altro che scontata, considerando che una cassa tonda ha tra i suoi vantaggi quella di essere più facilmente impermeabilizzabile, non avendo punti di debolezza come gli angoli (vi siete mai chiesti perché gli oblò delle navi sono circolari e non quadrati?).
Nel caso di un cronografo, poi, a questi punti di debolezza si aggiungono i pulsanti di start/stop e reset. Insomma, un’impresa per il 1969 che, insieme alle fortune mediatiche del segnatempo e al fatto di essere stato il primo ad avere in cassa un movimento cronografico automatico, ha consentito al Monaco di passare attraverso dieci lustri senza perdere fascino.
Fedele alla sua vocazione innovatrice, il segnatempo è stato celebrato da TAG Heuer con cinque edizioni limitate, ciascuna ispirata a uno dei decenni attraversati dal Monaco. Il quarto pezzo da collezione ispirato ai primi Anni 2000 è stato presentato a Tokyo il 24 settembre, dopo l’edizione degli Anni ’70 presentata durante il Gran Premio di Formula 1 di Monaco a maggio, quella degli Ottanta svelata a Le Mans a giugno e l’edizione degli Anni ’90 presentata in vista del campionato di Formula E a New York a luglio.
Il doppio volto dello stile
Dal quadrato al rettangolo non è solo questione di geometria ma, almeno in orologeria, di stile. Ecco perché, parlando di quadrilateri, non si può dimenticare il Reverso di Jaeger-LeCoultre. La sua cassa reversibile, simbolo di eleganza e stile Art Déco, nacque in realtà per un motivo pratico.
I soldati inglesi di stanza in India nel 1930 impegnavano il loro tempo libero giocando a polo, uno sport che spesso causava la rottura dell’orologio quando quest’ultimo aveva la sventura di incrociare una mazza. Pare che un giocatore si fosse lamentato di questo con César De Trey, uno dei futuri dirigenti della Specialites Horlogeres, poi Jaeger-LeCoultre, il quale riportò il problema all’amico Jacques-David LeCoultre; da lì nacque l’idea del Reverso, il cui disegno fu affidato al designer René-Alfred Chauvot.
Il risultato fu un brevetto per un meccanismo sulla cassa che permettesse di ribaltare l’orologio anche quando indossato, per proteggerlo dai colpi del polo. Passato attraverso infinite varianti di materiali e complicazioni, oggi meritano attenzione le versioni Tribute Small Seconds e Tribute Duoface.
I dettagli minimali del primo formano un accattivante contrasto con il quadrante color vino, con le lancette dauphine, gli indici applicati a mano e i piccoli secondi in un’apertura a ore 6.
Il secondo si fa forte dei due fusi orari su due quadranti separati, alimentati da un solo movimento – il calibro Jaeger-LeCoultre 854A/2 – alloggiato in una cassa di 10,3 millimetri di spessore.
Per lui e per lei
Un’interessante variante della cassa rettangolare è la cassa tonneau, di fatto un rettangolo con gli angoli tondi. Una cassa cara al maestro orologiaio Michel Parmigiani, che con la sua Maison Parmigiani Fleurier la interpreta nella collezione Kalpa, sia per polsi femminili sia per polsi maschili.
Come nel caso del Kalpagraphe, presentato di recente in un dittico, nero per l’uomo e bianco per la donna. La versione femminile ha il quadrante in zaffiro bianco e la cassa in oro rosa impreziosita da diamanti. L’orologio da uomo dà invece spazio alle tonalità scure, con la cassa in acciaio nero brillante abbinata a un cinturino in caucciù dello stesso colore e a un quadrante in zaffiro grigio.
Per non dimenticare che Michel Parmigiani è un maestro delle complicazioni, nei due segnatempo spicca la presenza del movimento cronografo automatico PF334 e l’uso dell’oro rosa per corona, pulsanti, contatori a ore 6 e a ore 9, viti del fondello e fibbia ad ardiglione.
L’eleganza dell’acciaio
Minimale nello stile ma ricercato nelle soluzioni tecniche è il New Retro di de GRISOGONO. Un orologio che la Maison ginevrina ha da sempre definito “per dandy moderni”. Il suo design semplice, pensato per le persone di classe dei giorni nostri, evoca lo stile degli anni Cinquanta anche nella scelta di mettere la corona di carica al 12, come nelle vecchie sveglie da tavolo.
Con questa creazione, de GRISOGONO si propone di “quadrare il cerchio”, rivelando un nuovo orologio che porta al suo interno tutta la saggezza dello scorrere del tempo, proponendo un modo originale di indossarlo al polso.
Interessante la versione in acciaio, che si affianca a quelle più ricercate in oro rosa, scheletrate, con tourbillon o diamanti: vuole essere più casual, senza però rinunciare al tocco di eleganza sempre sotto le righe che lo rende un segnatempo versatile, anche per un impiego quotidiano.