Cos’hanno in comune il Cioccolato di Modica Igp e il Grana Padano Dop? Il Prosciutto di Parma Dop e l’Aceto Balsamico di Modena Igp? Sono tutte eccellenze italiane dell’alimentazione. Ma il loro denominatore comune, gusti a parte, si chiama “fiducia”. Quando li mangiamo…sappiamo cosa stiamo mangiando.
Ma pochi sanno che dietro questa certezza – molto rassicurante, nel suo ambito, in un’epoca di incertezze generali – c’è un sistema rigorosissimo di certificazione della qualità dei prodotti agroalimentari. Che peraltro è l’unico argine al dilagare delle imitazioni, all’”italian sounding” (quello per cui in Olanda spacciano per spaghetti gli “spagheroni” e in Germania la Zottarella per mozzarella) che drena (tradotto: ruba) 100 miliardi di potenziale maggior export ai produttori italiani. Ebbene: il 51% di tutte le Indicazioni Geografiche italiane, siano Dop, Igp e Stg è controllato e certificato da Csqa, Ente di certificazione leader di settore, una specie di “scudo stellare” a garanzia dell’autenticità dei prodotti alimentari (e non solo, come vedremo), che oggi “filtra” e garantisce la filiera e la qualità di processi produttivi.
«L’industria alimentare è un patrimonio meraviglioso per il nostro Paese, ma è molto frazionata», spiega Pietro Bonato, Direttore Generale di Csqa, «per cui se certificare i processi e i prodotti che producono i grandi colossi sembra all’apparenza relativamente semplice, certificare i formaggi tipici significa, ad esempio, andare in giro per le mille valli italiane, incontrando centinaia di piccoli produttori che concorrono alla produzione di quel determinato prodotto… Pensate che per il Grana Padano Dop, prodotto di punta del Made in Italy, sono coinvolti nella produzione oltre 200 caseifici diversi! Che poi, in questo come in altri casi, fanno sistema attraverso i Consorzi di Tutela, ovvero la via italiana alla massa critica industriale».
Benvenuti a Thiene, mezz’ora di auto da Vicenza, capitale italiana della qualità. Qui, nel quartier generale e nelle 13 filiali che l’Ente ha sul territorio italiano, 270 superesperti – età media 37 anni, al 70% donne, con un bassissimo turnover – affiancati da oltre 500 Auditor, ci garantiscono la qualità nella produzione alimentare italiana. In altre parole: certificano la “qualità della vita”, o per lo meno uno dei suoi elementi fondamentali, l’alimentazione.
Un lavoro impegnativo, esposto a molti rischi: «Sì, perché la nostra è un’attività che non s’inventa, come la nostra storia, ed è tutta particolare», sottolinea il Presidente Carlo Perini: «la nostra è una società che è controllata per la maggioranza del capitale dalla Regione Veneto (al 90%, tramite Veneto Agricoltura e con il restante azionariato suddiviso fra i primari enti e Associazioni italiani rappresentativi della filiera) ma lavora da sempre con forte orientamento al mercato, al cliente, al consumatore, supportando le imprese italiane. Certamente la proprietà pubblica rappresenta una ulteriore forte garanzia da possibili conflitti di interesse».
Una storia, quella di Csqa, che è cresciuta all’insegna del rigore scientifico e della formazione, da quando negli anni ‘90 un gruppo di tecnici specializzati di un istituto di ricerca agroalimentare, sulla spinta emotiva del gran dibattere sulla sicurezza e qualità del cibo che era stato animato dalle polemiche sul nucleare nate dopo Chernobyl e rinfocolate dal referendum, prese l’iniziativa di cambiare strada e uscire dall’ambito stretto della ricerca pura. «Come ente di ricerca ci proponemmo di creare un punto di riferimento nazionale della cultura della qualità alimentare – ricorda Bonato – e abbiamo lanciato una vera campagna di confronti, analisi, dibattiti… avremo fatto 1000 convegni, sull’intero territorio italiano. Finché nel ’97 abbiamo iniziato a certificare i primi prodotti, perché quei temi hanno fatto breccia nella sensibilità dei consumatori e gli operatori più lungimiranti hanno iniziato a richiedere la certificazione. All’inizio con la Iso 9000, poi superata da altre metriche e quindi la certificazione specifica di prodotto. Abbiamo conosciuto, va detto, degli anni di crescita galoppante. Nel ‘98 abbiamo iniziato a certificare il primo prodotto Dop, il Grana Padano e siamo successivamente stati chiamati da molti produttori di eccellenze alimentari desiderosi di tutelare il loro patrimonio, che era poi anche quello dei consumatori».
L’intuizione di concentrarsi sull’agroalimentare è stata vincente. «Ben presto, lavorando quotidianamente sulla trincea della qualità», spiega Maria Chiara Ferrarese, Vicedirettore dell’Ente, «abbiamo compreso che la qualità dei prodotti e dell’ambiente da cui provengono rappresentano un binomio inscindibile che ha impatti sociali ed economici molto importanti. Pertanto, abbiamo studiato la sostenibilità, anticipando le esigenze del mercato, definendo sistemi di verifica oggettiva dei requisiti di sostenibilità per fornire le necessarie garanzie a consumatori e imprese».
Attraverso il proprio Centro Innovazione, Csqa è stato pioniere anche sul fronte della rintracciabilità, anche in questo caso anticipando la normativa comunitaria in materia. Nasce in Csqa, infatti, lo standard “Rintracciabilità di filiera” poi diventato norma Uni e oggi Iso 22005 riconosciuta a livello mondiale.
Le dimensioni di questo mercato non sono note come meritano. Il Prosciutto di Parma è una Dop, per citare un’altra delle eccellenze certificate da Csqa, che vale 2 miliardi di euro e dà lavoro a oltre 50 mila persone, cinque volte l’Ilva di Taranto, in oltre 4000 allevamenti.
Il successo dell’azienda è stato dunque dovuto alla scelta lucida di essersi specializzati. Ma questa cultura fortemente incardinata sull’agroalimentare avrebbe anche potuto diventare una gabbia dorata, un soffitto di cristallo che avrebbe potuto inibire la crescita. Ed è il rischio che i vertici aziendali hanno saputo evitare, individuando una loro strategia per la diversificazione coerente, sviluppando servizi aventi sempre il focus sul benessere della persona e la qualità della vita: «Dall’agroalimentare siamo passati all’ambiente e alla sostenibilità, al biologico, ai territori e alle foreste, alla sanità e ai servizi alla persona, fino al mondo dell’information tecnology e la cybersecurity. Una diversificazione perseguita con coerenza e – si può dire – quasi per contiguità tematica” sintetizzano i vertici di Csqa».
A tutto questo si aggiunge la proiezione sui mercati internazionali, a supporto delle aziende italiane che esportano il meglio del Made in Italy nel mondo con l’apertura di sedi dirette estere negli Stati Uniti, in Polonia e in Spagna.
Da qui il primato di Csqa anche per le prime certificazioni estere, in Indonesia, dove sono state certificate le indicazioni geografiche, due prodotti iconici del maggiore stato-arcipelago del mondo, il sale marino Garam Amed Bali/Bunga Garam Amed Bali Dop e lo zucchero di cocco Kulonprogo Coconut Sugar.
«Sia chiaro: nel food stiamo continuando a crescere, e non vogliamo certo fermarci! – precisa Bonato – ad oggi controlliamo 72 tra Dop, Igp e Stg italiane, siamo il primo ente in Italia e in Europa nella certificazione regolamentata del settore agroalimentare. Crescere è sempre uno degli obiettivi, nell’agroalimentare abbiamo questa leadership ma l’attuale 51% della quota percentuale del valore della produzione, controllata da Csqa, rispetto al totale della produzione Dop Igp Stg italiana può arrivare al 60%, non di più. Nel food si può lavorare molto bene sulla sostenibilità, anche grazie al traino delle catene distributive, che sono un motore di cambiamento importante. E quindi guardiamo anche al mondo agro-forestale e alla generazione di crediti di carbonio. Oggi il consumatore cerca valori etici e valori ecologici. Poi c’è la diversificazione, il voler e saper cogliere altre opportunità, che è quanto stiamo facendo».
I primi frutti della strategia di diversificazione settoriale si vedono: con l’ingresso nelle compagini societarie di Certottica, che a Longarone certifica il 95% della produzione dell’occhialeria, in Dolomiti Cert, specializzata nella certificazione dei dispositivi di protezione individuale, con clienti di nome come Dainese e in Acs Italia, società leader nella certificazione delle professioni. «In sintesi – dice il Presidente Perini – lavoreremo per incrementare quel 51% di quota nell’agroalimentare verso il 60% e far crescere l’attività in tutti i possibili settori complementari».
«Non abbiamo ingredienti segreti per il successo” – conclude sorridendo il Direttore Generale Bonato – “ma un metodo palese sì ed è imperniato su terzietà e indipendenza, competenza, specializzazione, formazione, ricerca e innovazione continua unite alla passione per il nostro lavoro. Abbiamo un Comitato di Direzione allargato di 40 persone e qualcuno, da fuori, non capisce perché. È semplice: ci prendiamo la responsabilità, e anche la fatica, di confrontarci e decidere insieme, poi scatta una condivisione sulle strategie e gli obiettivi e tutti i nostri collaboratori sono protesi al loro raggiungimento. Un metodo che ci ha sempre dato grandi risultati».