Transizione digitale Pmi, il processo continua tra avanzamenti e resistenze. Tra i suoi protagonisti c’è il Gruppo Relatech, fondato nel 2001 e quotato dal 2019 sul mercato Euronext Growth Milan. Si tratta di un ecosistema di soluzioni digitali e competenze, che punta a guidare la transizione digitale di PMI italiane e corporation, e dei loro processi, con tecnologie cutting-edge: dal Cloud all’IoT, dalla Cybersecurity alla Blockchain, dal Machine Learning al BigData fino all’AI. In questa intervista Pasquale Lambardi, Presidente e CEO del Gruppo Relatech, spiega: le Pmi devono imparare a fare sistema e a intervenire sui modelli di business per ottenere il meglio dalle nuove tecnologie.
Transizione digitale Pmi: come la si guida in Italia?
Siamo presenti in Italia e anche in parte all’estero. Questo ci aiuta a guidare le strategie di digitalizzazione in un contesto più ampio: in una situazione di mercato sempre dinamico è importante pensare le tecnologie in ambito globale. Alle Pmi italiane serve un cambio di paradigma, non si può parlare di digitalizzazione senza affrontare l’evoluzione del business model dal punto di vista organizzativo: solo allora si può fare la differenza. Di innovazione ce n’è tanta, dalla blockchain al metaverso, ma per stare al passo del mercato alla fine quello che conta davvero è che bisogna adattare il business model, serve un adattamento organizzativo a livello dei processi. Anche se nasciamo come azienda fortemente orientata alla tecnologia digitale, abbiamo spinoff universitari che ci aiutano a capire quali sono le tecnologie del futuro. Fare innovazione significa anche sperimentare, e magari fallire: col nostro modello riusciamo a farlo. Così possiamo aiutare le aziende nel migliore dei modi.
A che punto del percorso di digitalizzazione si trovano le nostre piccole e medie imprese?
Il covid ha dato una forte accelerata, specie nella consapevolezza dell’esigenza del digitale, e le Pmi italiane stanno facendo enormi passi avanti. Certo ci vuole un po’ di coraggio, il mercato macroeconomico, con gli effetti della guerra, non aiuta, ma la transizione sta comunque avvenendo. Questo non solo in senso stretto ma anche con le tecnologie di base come la cybersecurity: non si può parlare di transizione digitale senza adottare tecniche e metodi adeguati, senza saper utilizzare strumenti digitali importanti perché gli attacchi spesso vengono dall’interno delle aziende: per questo investiamo molto in education.
Quali ostacoli incontrate?
La maggior parte delle Pmi sono guidate da imprenditori straordinari, spesso visionari, e sono caratterizzate da una forte creatività, riconosciuta anche all’estero. Ma spesso l’approccio è poco manageriale, e questo può essere un limite perché l’adozione delle tecnologie, lo ribadisco, dev’essere accompagnata dall’organizzazione manageriale. Un altro limite è che si fa poco ecosistema, si parla molto di fare gruppo ma poi spesso la Pmi guarda al suo orticello. Ma secondo noi si può fare molto bene, all’estero specie in alcuni settori le nostre Pmi sono riconosciute, il valore c’è.
Tecnologie digitali: ok, ma quali?
Per quanto riguarda l’IA, e in particolar modo il machine learning, ha senso se si ha a disposizione una mole importante di dati. Ci sono tante tecnologie, specie in ambito cloud, che possono facilitarne l’adozione iniziale. Abbiamo un’offerta mirata: grazie all’ecosistema universitario coinvolgiamo le Pmi in attività di R&S, anche utilizzando fondi europei. Oggi ci sono tante tecnologie a basso costo che possono essere utilizzate per fare sperimentazione. È molto importante specie per le piccole imprese fare sistema; ormai la dimensione conta, specie se si vuole lavorare in un sistema globale bisogna lavorare insieme. La consapevolezza dell’esigenza di adottare le tecnologie digitali si sta affermando, ma bisogna vedere con che velocità: i tempi sono importanti. Il covid ha dato un’accelerata, al contrario la guerra ha rallentato determinati processi globali. Ma anche la guerra è utile per capire che le tecnologie devono essere locali, territoriali. Vale anche per la cybersecurity, è importante fare investimenti in Italia, spesso le tecnologie vengono dall’America, ma è importante che ci sia anche una proprietà intellettuale locale.
Che ruolo ha il Pnrr?
Fondamentale. Faccio un esempio concreto: a maggio siamo entrati nel progetto Agritech – Centro Nazionale per lo Sviluppo delle nuove Tecnologie in Agricoltura per garantire produzioni agroalimentari sostenibili con l’obiettivo di favorire l’adattamento ai cambiamenti climatici, la riduzione dell’impatto ambientale, lo sviluppo delle aree marginali, la sicurezza, la tracciabilità e la tipicità delle filiere. Agritech è un progetto finanziato dall’Unione Europea (NextGeneration EU) e dal MUR (Ministero dell’Università e della Ricerca) che vale 350M euro di cui 320M sovvenzionati dal PNRR. Si tratta di una cordata di eccellenze Made in Italy che coinvolge 28 Università, 5 centri di ricerca e 18 imprese esperte del settore agrifood con comprovate competenze in ricerca e sviluppo, e con elevate expertise nelle tecnologie digitali innovative come nel caso di Relatech. In particolare, siamo impegnati sui Sistemi agricoli e forestali multifunzionali e resilienti per la mitigazione dei rischi del cambiamento climatico: prototipazione di ambienti digitali evoluti e sviluppo di sistemi di analisi dei dati per la gestione di agricoltura e foreste basata su tecniche di Intelligenza Artificiale e di Big Data Analytics. E sui Modelli di gestione per promuovere la sostenibilità e la resilienza dei sistemi di produzione agricola: Sistemi di Workflow Management e Decision Support System per la modellazione e l’analisi dei processi delle aziende agricole per migliorare l’efficienza delle colture e prototipazione di strumenti collaborativi per favorire il collegamento delle nuove soluzioni agricole all’industria agro-alimentare.