Si continua a discutere molto di “transizione digitale” e la priorità del tema, insieme alla sostenibilità ambientale, sembra fuori discussione. Eppure, soprattutto nel mondo delle Pmi, l’argomento è tutt’altro che scontato. Una ricerca di Rsm, tra i principali network internazionali specializzati nella consulenza in ambito Assurance, Tax e Consulting, sul tema “Digital transformation per le Pmi italiane” lo mette in evidenza: solo il 42% delle Pmi ha avviato un programma organico e continuativo di trasformazione digitale; la restante parte solo su alcune aree e in maniera non continuativa​ (34%), mentre il 24% non ha ancora avviato alcun programma di trasformazione digitale perché sta valutandone i costi/benefici. Tra coloro che ancora non hanno avviato il progetto di digital transformation prevale l’incertezza su come procedere e sulle priorità (42%) e si evidenzia una preoccupazione sugli investimenti necessari e i costi legati a nuove soluzioni di processo o tecnologiche (37%).
La survey, svolta nel periodo giugno – luglio di quest’anno e che ha coinvolto circa 100 Pmi italiane, raccoglie informazioni sul modo in cui le aziende italiane stanno affrontando la trasformazione digitale e su quali tecnologie si concentrano, o si indirizzeranno in futuro, gli investimenti. Le Pmi incluse nel campione di riferimento risultano distribuite dimensionalmente nel 51% dei casi al di sotto di 10 milioni di Euro di ricavi, nel 26% tra i 10 e 50 milioni di Euro, nel 10% tra i 50 e 100 milioni di Euro e infine per il 13% oltre i 100 milioni di Euro.

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«In questi anni di sfide senza precedenti, le piccole e medie imprese italiane hanno affrontato un bivio cruciale: adattarsi o rimanere indietro. La pandemia, in particolare, ha accelerato la necessità di una trasformazione digitale rapida ed efficace – spiega Simone Segnalini, Digital, Risk & Transformation Leader di Rsm e promotore della survey. “La trasformazione digitale non è più un’opzione, ma una necessità per rimanere competitivi in un mercato globale sempre più digitalizzato. Da consulenti, il nostro obiettivo è aiutare le imprese a navigare in questo viaggio digitale, offrendo la nostra esperienza, le nostre risorse e il nostro sostegno costante per costruire un futuro più resiliente per le Pmi italiane».
Se si osserva il livello di digitalizzazione delle imprese intervistate, i settori che sembrano oggi più avanzati sono telecomunicazioni, informazione, comunicazione e tecnologia; seguono servizi per le Imprese, banche, assicurazioni e servizi finanziari​. Altro tema analizzato nel sondaggio è chi deve promuovere e portare avanti la trasformazione digitale all’interno delle aziende. Per il 71% del campione spetta alla leadership aziendale costituita da CEO, presidente o direttore generale (nel 71% delle società intervistate). Questo risultato sottolinea quanto la trasformazione digitale sia vista dalle Pmi come un progetto di cambiamento radicale, il quale deve essere introdotto attraverso un percorso di change management e con il forte commitment da parte dei vertici aziendali. Solo il 4% delle Pmi hanno, ad oggi, previsto un responsabile attraverso il presidio di una funzione ad-hoc per la strategia, l’innovazione e la trasformazione digitale.

La messa a terra del progetto: le risorse coinvolte

La ricerca evidenzia anche come, per attuare la trasformazione digitale nelle Pmi, sia necessario identificare risorse con responsabilità precise per sviluppare e implementare strategie e processi di innovazione nei vari settori dell’azienda. Questo cambio di paradigma, tecnologico ma anche organizzativo e culturale, è non banale da attuare, soprattutto presso le Pmi italiane. Infatti, solo il 33% delle società interpellate ha personale dedicato che si occupa di guidare e promuovere l’innovazione e la trasformazione digitale. Si sale al 58% se si considerano anche le Pmi per cui l’innovazione è gestita direttamente dal top management.
Altro importante tassello da considerare è la necessità di competenze digitali specialistiche e profili professionali adeguati a fronteggiare le esigenze del cambiamento, a tutti i livelli dell’organizzazione. Il campione preso in esame da Rsm di Pmi che ha avviato un programma di trasformazione digitale ha, in prevalenza, previsto, ancorché con combinazioni differenti, un team formato da personale interno. In particolare, nel 45% dei casi, la configurazione di progetto preferita vede la totalità del team composta da personale dell’azienda, senza intervento di risorse esterne.

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Difficoltà e resistenze alla digital transformation

Le scelte e gli investimenti delle Pmi italiane sono condizionati anche da alcune resistenze culturali e di costo. Infatti, pur sussistendo varie forme di supporto e condizioni di favore rispetto al miglioramento e alla digitalizzazione dei processi, finalizzate a migliorare il business, per quasi la metà delle piccole e medie imprese italiane (45%) l’innovazione, pur considerata importante, non è percepita come urgente. A tal proposito circa l’11% delle rispondenti ha indicato che non prevede alcun budget per la digital transformation, nei prossimi 12 mesi, mentre il 34% farà investimenti, ma non ha ancora del tutto chiara la previsione di budget ad essi collegata.
Un ulteriore aspetto da non sottovalutare è rappresentato dal cambiamento culturale conseguente ad un programma di trasformazione digitale. I dipendenti, il management e gli altri stakeholder rilevanti sono abituati al modo in cui svolgono le attività, evidenziando una importante resistenza al cambiamento, che deve essere gestita efficacemente. Si tratta di accompagnare tutti gli stakeholders della Pmi nel «viaggio» verso l’innovazione ed il cambiamento e di capire come gestire la trasformazione. Infine, solo il 38% degli intervistati nel campione di Pmi che ha avviato un programma di trasformazione digitale fatto ricorso a misure di finanziamento a fondo perduto o incentivi automatici (es. crediti di imposta per la transizione 4.0).
In conclusione, come osserva Segnalini, «Per le Pmi italiane la strada da percorrere è ancora lunga e la consapevolezza del valore strategico della transizione digitale complessivamente insufficiente. Eppure, non vi sono strade alternative: il futuro di quello che è il motore economico dell’Italia – gli oltre 4 milioni di Pmi e microimprese – dipenderà molto da come sapremo recuperare velocemente il terreno perduto, anche in confronto con i nostri competitor europei».