di Abramo Vincenzi, Ceo e co-fondatore di Accudire*
Secondo gli ultimi dati Istat, nel periodo novembre 2022 – gennaio 2023 l’export cresce del 2,9% rispetto al precedente trimestre e a gennaio 2023 si registra, per il secondo mese consecutivo, una crescita in valore dell’export su base annua superiore a quella dell’import, rispettivamente del 15,3% e del 9,4%, mentre la crescita dell’export per lo stesso periodo in volumi è stata del 2,4% a fronte di un import stazionario con il suo +0,3%. La crescita dell’export in valore su base tendenziale è più sostenuta verso i mercati extra Ue (+20,5%) rispetto all’area Ue (+11,3%) e riguarda tutti i raggruppamenti principali di industrie, a esclusione di energia (-12,0%) e beni strumentali (-9,2%), ed è spiegata soprattutto dall’aumento delle vendite di beni intermedi (+9,6%). Il contributo maggiore arriva dai settori degli articoli farmaceutici, chimico-medicinali e botanici (+53,9%), dei macchinari e apparecchi (+19,8%) e dei prodotti alimentari, bevande e tabacco (+17,6%). I Paesi che forniscono i contributi maggiori all’incremento dell’export nazionale sono: Cina (+137,5%), Francia (+17,1%), Germania (+6,1%), Turchia (+48,2%), Svizzera (+14,4%) e Regno Unito (+16,0%).
Nel 2022 l’export in valore del made in Italy mostra una crescita molto sostenuta rispetto all’anno precedente (+20,0%) e diffusa a livello territoriale nella maggior parte delle regioni, anche se la crescita è stata determinata soprattutto dai rialzi dei prezzi.
Oltra all’inflazione, il contesto globale in cui si inserisce la spinta dell’export italiano è segnato da profondi e costanti cambiamenti, a causa di equilibri geopolitici estremamente fluidi, dalla guerra in Ucraina, da mercati sempre più soggetti a restrizioni ed embarghi, dall’aumento dei costi energetici e dalla necessità di rendere sostenibili le supply chain internazionali, che sono state attraversate negli ultimi anni da violenti burrasche: sono state scossi fino nelle fondamenta paradigmi di business assodati, imponendo una generale rivisitazione dei business model e dei collegati modelli di gestione, che nel tempo hanno portato a filiere stratificate, appesantite, allungate e frammentate, risultato di una mancanza di visione strategica d’insieme, di una eccessiva reattività agli stimoli del mercato e di una continua rincorsa ai suoi trend.
Non si è prestata sufficiente attenzione al ruolo cruciale del trade finance nella sua interazione con il trade per supportare le scelte nella gestione delle vendite internazionali e per rendere il commercio globale sostenibile sotto il profilo economico, ambientale e sociale, relegandolo ad una dimensione passiva e meramente servile nelle economie delle organizzazioni e scollegandolo completamente dalle dinamiche logistiche. Si sono prodotti meccanismi di gestione contorti, che hanno indebolito e tuttora indeboliscono le basi di quelle organizzazioni, che hanno indirizzato le attenzioni del loro management esclusivamente sull’eccellenza del bene prodotto, che indiscutibilmente ha reso e sta rendendo il made in Italy un protagonista assoluto nei mercati globali, ma che altrettanto lo ha reso vulnerabile alle nuove richieste di cambiamento in atto, portando alla luce con forza falle sistemiche, quali:
• assenza di ecosistemi di filiera, con gli stakeholders che non riescono a costruire fra di loro rapporti solidi e rivolti all’innovazione e alla mutua crescita;
• filiere lunghe, poco trasparenti e poco controllabili, a causa anche di un eccessivo utilizzo della resa ex works e dalla conseguente interazione fra una moltitudine di controparti lungo l’intera supply chain;
• lentezza nell’assolvere a tutti gli adempimenti e a tutti i controlli, che comportano una stretta e constante interazione fra i partner commerciali nella gestione delle spedizioni internazionali, e all’operatività e collaborazione richiesta per interagire con le autorità competenti;
• ingente documentazione da produrre per la gestione dei compiti, delle responsabilità e del rischio nella movimentazione delle merci, oltre alle necessità di garantire documenti «certi» per assolvere alle richieste degli istituti bancari e delle autorità.
Di conseguenza, oggi si sta assistendo ad un movimento nascente volto a valorizzare nelle organizzazioni strumenti e metodi, funzionali a garantire nel tempo maggiore solidità finanziaria e robustezza delle intere filiere di esportazione, sfruttando i positivi risultati dell’export italiano per recuperare marginalità e resistere ai più che probabili contraccolpi dei mercati globali, che improvvisamente sono diventati estremamente fluidi ed incerti, investiti da variabili ritenute fino ad ieri esogene alle organizzazioni. L’evoluzione digitale, l’interconnessione del trade con il trade finance e la sua valorizzazione nelle dinamiche logistiche di esportazione diventano l’ago della bilancia nel cambiamento in corso, permettendo alle aziende esportatrici di semplificare, eliminando i processi manuali (controlli multipli, correzioni, rielaborazioni, telefonate ed e-mail), velocizzando le attività operative, riducendo i costi di filiera ed il lavoro amministrativo e logistico, consentendo una maggiore automazione e collaborazione fra tutti gli attori coinvolti lungo la supply chain.
Ne deriva che nel commercio globale vi è in corso un progressivo abbandono degli strumenti di trade finance tradizionali, quali i prestiti a breve termine e i finanziamenti sul capitale circolante, le lettere di credito o le garanzie a favore degli strumenti messi a disposizione dalla supply chain finance ovvero di tutte quelle soluzioni che consentono a un’impresa di finanziare il proprio capitale circolante, facendo leva sul ruolo che essa ricopre all’interno della supply chain in cui opera e sulle relazioni con gli altri attori della filiera, quali: factoring, forfaiting, anticipi fattura, purchase order finance, invoice trading. Il processo di innovazione alla base di questo cambiamento si basa sulla piena comprensione che non è più pensabile operare a silos nel prendere le decisioni che guidano l’export del made in Italy sui mercati globali, bensì che il valore si crea dal generare ecosistemi logistici-finanziari a supporto dell’eccellenza del prodotto italiano, dove le leve di successo devono essere l’utilizzo delle nuove tecnologie, la digitalizzazione dei processi operativi, l’eliminazione di flussi cartacei nel rapporto fra imprese e banche, l’interoperabilità fra sistemi digitali nella realizzazioni di flussi di informazioni completamente digitali, sicuri, certi negli snodi di interazione fra il trade e il trade finance.
* relatore a numerosi eventi AITI