Tra il dire e l’erogarec’è di mezzo il business plan

Nonostante incertezze, ritardi e sovraccarico burocratico, le misure varate dal governo per aiutare le imprese a fronteggiare l’emergenza sono valide, ma bisogna saperle utilizzare, anzi impegnarsi per riuscire ad utilizzarle: e non tutte le imprese che ne avrebbero bisogno sanno farlo. è per questo che gli spazi d’intervento per la consulenza professionale specializzata sono grandi: ne è convinto Alberto Ferlin (nella foto), partner dello Studio Ferlin, Tiozzo e Associati, che ha dialogato su questo tema con “Sportello Economy” – il format multimediale di Economy Group che settimanalmente offre alle imprese modelli e soluzioni per i problemi aziendali: «Quello che consiglio a tutti gli imprenditori, in questo momento, è di adottare subito quelle che sono le misure messe in campo dal Governo, ovvero attivarsi subito con i propri istituti di riferimento per chiedere il finanziamento utilizzando le garanzie del Fondo centrale o di Sace o di Cassa depositi e prestiti, attraverso le modalità attuative già in essere e, speriamo, quelle semplificate che dovrebbero arrivare al più presto».

Ma perché molte banche sono sembrate riluttanti a erogare i prestiti?

Il sistema bancario e lo Stato, in particolare per il ritardo dei decreti attuativi, non hanno garantito quella velocità nelle procedure di erogazione del credito che il mondo imprenditoriale si aspettava,  questo ha di fatto comportato una frenata in una situazione che richiedeva invece praticità, e  rapidità. Non c’è stato un pronto allineamento fra il decreto Cura Italia con le linee guida della Banca d’Italia che gli istituti di credito avrebbero dovuto seguire per elargire poi queste risorse alle aziende, un corto circuito che ha rallentato di molto il processo.

Insieme col tema della responsabiltà penale in caso di insolvenze future dei percipienti e del danno erariale nel caso di merito di credito riconosciuto inappropriatamente?

Questi fattori hanno rallentato ancor di più il processo, proprio il mettere in capo a dei soggetti terzi, nel rapporto tra lo Stato e le imprese, responsabilità di questo tipo sicuramente non ha agevolato il processo e tutt’ora non lo agevola.

Quando si va in banca per i prestiti è giusto presentarsi con un business plan già fatto?

Si….salvo i casi in cui è stata introdotta l’autocertificazione nella quale l’impresa dichiari di “non” avere situazioni di crisi finanziaria. Se c’è una crisi finanziaria in corso, occorre percorrere una procedura diversa, adatta alla crisi. Comunque, per le aziende medio-grandi, avere un business plan aiuta sempre, lo suggerisco perché dà anche l’idea di dove andrà l’azienda con le sue previsioni. Lo shock di questi mesi avrà ripercussioni per qualche tempo a venire, però poi l’azienda deve dimostrare la capacità e la potenzialità di tornare a correre, quindi sicuramente presentare un business plan è sempre un strumento utile

Riepilogando: facciamo un business plan post-Covid, mettiamo in ordine i conti agli occhi della banca, e tentiamo di raccogliere quanto più possibile.

Assolutamente si. Le banche ci chiedono e chiedono alle imprese di dare evidenza degli effetti attesi del lockdown sul business aziendale sia in termini attuali che prospettici. Questo è quello che preoccupa di più.

Ma le banche restano arcigne e difensive verso i clienti in crisi come da tradizione oppure dimostrano un po’ di crescita culturale nell’approcciare questi temi oppure no?

Devo dire che il sistema bancario dopo la crisi del 2008 ha avuto una notevole evoluzione per quanto riguarda proprio gli uffici che si occupano di ristrutturazione del debito e di crisi d’impresa. Sono state introdotte figure nel parlare la stessa lingua dell’imprenditore quando è in uno stato crisi finanziaria. Insomma, l’evoluzione c’è stata. Oggi gli interlocutori sono più preparati, capiscono cosa vuol dire ristrutturare un debito e un’azienda e questo aiuta sicuramente il processo ad avere una via d’uscita più agevole soprattutto laddove c’è un’azienda che ha delle compentenze e del know how.

E nel frattempo, cerchiamo di non pagare tasse!

Sì, approfittando delle opportunità offerteci dal governo, che si è attivato con una prima trance di sospensioni d’imposta per determinate categorie di aziende che avessero dimostrato di aver perso fatturato nei mesi di marzo e aprile rispetto all’anno precedente. Consente di non avere esborsi che oggi risulterebbero particolarmente gravosi. Le nuove disposizioni addirittura prevedono  uno slittamento fino al 16 settembre 2020… Personalmente, credo che l’aiuto in questo caso debba essere rafforzato per consentire all’imprese di avere un più ampio respiro sul fronte delle imposte sul reddito. Per quanto riguarda l’Irap ci si è già mossi, però credo non sia sufficiente: bisogna intervenire in maniera più radicale.

Per le aziende che invece vanno in crisi finanziaria, ci sono spazi nuovi di gestione delle ristrutturazioni?

Sì, gli strumenti da attivare sono molteplici a seconda delle situazioni. Ci sono aziende che anche pre-covid erano in tensione finanziaria, facevano fatica o erano addirittura già in ristrutturazione: è chiaro che per esse si è aperto quel capitolo inaspettato della crisi. Per far fronte possono esserci accordi privatistici azienda-banca, piuttosto che a veri propri accordi di ristrutturazione del debito per comprendere la platea delle banche, dei fornitori e del fisco, piuttosto che ricorrere alle procedure concorsuali quali il concordato preventivo. A seconda della situazione, poter utilizzare uno strumento piuttosto che un altro fa la differenza. Il consiglio che do sempre è quello di valutare il timing, cogliere i primi sintomi di una tensione, e  intervenire subito per evitare che la crisi diventi irreversibile.

Grazie alle moratorie sui debiti bancari e alle sospensioni d’imposta, fino a settembre c’è respiro. ma non è detto che basti

In termini operativi c’è qualche strumento nuovo che si può pensare di utilizzare in questa fase per la finanza aziendale?

Possiamo fruttare immediatamente quelle che sono le moratorie sui debiti bancari, un sollievo dove ci sia un indebitamento bancario che prevede dei piani di rientro. Quindi sicuramente fino a settembre c’è respiro, poi attenderemo ulteriori provvedimenti per vedere se questa moratoria viene estesa a un periodo più lungo. Nei casi in cui ciò non basti ovviamente bisogna attivare uno strumento più forte: può essere un articolo 67, giusto per parlare un pò in gergo tecnico, o un accordo di ristruttarazione del debito ai sensi dei 182 bis, per ottenere una moratoria un pò più ampia, piani di rientro con il fisco più lunghi, con i fornitori affinchè garantiscano il cliclo operativo dell’azienda…

Ma il 182 non è uno strumento che poi squalifica chi lo chiede?

Non credo proprio, purché sia funzionale a garantire la continuità aziendale e i posti di lavoro.

In termini concreti quanto state lavorando su questa frontiera come studio?

Devo dirle: molto, e da una decina di anni a questa parte. Il dipartimento per ristrutturazione delle crisi d’impresa è sempre cresciuto e alla luce del Covid le richieste che sono pervenute in questi ultimi mesi sono aumentate di un 40%.

Non sarebbe stato meglio congelare il rating delle imprese? Con la sospensione delle segnalazioni alla Centrale Rischi il sistema sta viaggiando a fari spenti fino al 30 settembre e dal 1 ottobre, quando li riaccenderemo, ci troveremo molte segnalazioni di rischio tutte insieme e rischieremo la crisi.

Sono d’accordo, la mancata segnalazione alla Centrali Rischi di questa fase può creare nella prossima una distorsione di sistema, si correrò il rischio di finanziare soggetti che in realtà sono dei cattivi pagatori. Una sospensione del rating forse sarebbe stata la soluzione migliore per evitare proprio questo problema.