Che anno è stato il 2021 per l’azionario? E cosa aspettarci in futuro? Ne abbiamo parlato con Gianmarco Rania, responsabile azionario di Banor Capital, nel corso di una puntata di Investire Now.
Rania, facciamo un bilancio degli investimenti azionari in questo 2021 che si sta per chiudere?
Il 2021 è stato un anno molto buono per l’azionario. Gli indici azionari globali hanno avuto un ritorno mediamente tra il 15 e il 20%, ad eccezione della Cina, con l’indice del Paese asiatico che adesso sta tornando in territorio positivo, e del Giappone che ha avuto una fase di stallo durante l’estate.
Cosa può aspettarsi il settore dell’equity invece dal 2022? Le preoccupazioni sono forti per l’inflazione indotto dall’aumento dei prezzi dei combustibili fossili, dal petrolio al carbone al gas naturale…qualcuno paventa addirittura la possibilità della stagflazione. Ci aiuta a fare chiarezza?
È necessario fare un passo indietro e capire da dove viene questa inflazione. Si è creata in tre stadi: in un primo stadio è stata indotta in maniera quasi artificiale dalle banche centrali in risposta alla crisi pandemica – con le grandi operazioni di quantitative easing e con politiche monetarie unite a quelle fiscali – proponendosi di supportare e di rilanciare le economie locali e la produzione industriale oltre a diminuire il livello di disoccupazione elevato. Poi c’è stato un secondo stadio, con la fase post pandemica: con le riaperture le persone hanno incrementato i propri consumi in beni e servizi grazie all’enorme ammontare di risparmio aggregato che negli Stati Uniti era arrivato a 2,5 trilioni di dollari. Si è registrata così una seconda spinta inflattiva, con un aumento dei tassi d’interesse reali, indotta dal consumatore. Adesso siamo nella terza fase a cui lei faceva riferimento e che fa più paura, cioè l’aumento dell’inflazione provocato da uno shock dell’offerta, alle prese con troppi colli di bottiglia. In questo contesto l’inflazione continuai a salire ma questa volta i tassi di interesse reale scendono. E quindi il rischio connesso è proprio la stagflazione, ovvero la stagnazione con crescita vicina allo zero più l’inflazione. E questo potrebbe essere uno scenario negativo per i prossimi anni.
Cosa ritiene più probabile, uno scenario inflattivo e stagflattivo?
Quando ho iniziato questa attività 20 anni fa ricordo che ero seduto affianco a un team di sette analisti del settore oil e mi rassicuravano affermando che qualunque cosa fosse accaduta ai titoli petroliferi, nel mondo c’è abbastanza petrolio e gas per tutte le esigenze. Quindi la mia personale view – e sono d’accordo con le Banche Centrali – è che stiamo andando verso un periodo di elevata inflazione ma transitorio. Auspico che entro la fine del primo semestre del 2022 o al massimo verso la fine dell’anno prossimo questo effetto di sbilanciamento tra domanda e offerta finirà e quindi il mio scenario è di elevata inflazione che scendendo un po’, attraverso un meccanismo di disinflazione, possa agire da propulsore per una ripresa del Pil a livello globale.
In un contesto di forte inflazione quali possono essere i titoli vincenti?
In uno scenario di elevata inflazione ma transitorio sul mercato azionario ci sono Paesi, aree e settori che vanno preferiti ad altri. Ci sono dei settori che beneficiano dell’aumento dei tassi d’interesse e di conseguenza dell’aumento dell’inflazione come quello dei titoli finanziari e delle banche in particolare, che ne beneficiano in termine di miglioramento del margine d’interesse. Non solo: se l’aumento dei tassi d’interesse avviene in un contesto di crescita economica le banche di solito aumentano i volumi dei prestiti e diminuiscono le sofferenze. Il secondo ambito è quello dei settori legati alle materie prime: a noi piacciono molto i settori legati all’energia, ai petroliferi, all’alluminio, al rame, perché di solito le commodities, i real asset, vengono visti come strumento di protezione dal rischio d’inflazione.
E in uno scenario di stagflazione invece?
In questo contesto sarebbe difficile trovare “aree protette” per i nostri capitali. Consiglieremmo quei titoli leader nel loro settore, che hanno poco debito, meno esposti al ciclo economico. Un esempio di società in grado di ottenere buoni ritorni anche sotto pressione? Nestlè, società leader del food & beverage, che a fronte di un aumento del 4% dei costi delle materie prime progetta un aumento del fatturato del 6-7%. Così facendo attenua l’impatto della crescita dei costi delle materie prime incrementando il pricing.