Sarà perché la multa comminata dall’Antitrust italiano per obsolescenza programmata dei device è comunque una macchia all’immagine della mela morsicata. Sarà perché Apple ha la necessità di cancellare definitivamente le polemiche intorno alle fabbriche-lager di Foxconn. Sarà perché essere la prima trillion company nella storia dell’economia moderna dà onori ma anche oneri. Comunque sia, l’altro giorno a Bruxelles Tim Cook, il potente amministratore delegato di Apple, ha ammesso che il GDPR tanto osteggiato da tutti i colossi di internet, non è poi tanto male. «Le nuove tecnologie – ha detto davanti ai parlamentari europei – stanno facendo cose grandiose, prevengono e combattono malattie, danno accesso a informazioni e opportunità economiche come mai era stato possibile prima. Ma abbiamo avuto modo di vedere anche come possano invece essere una minaccia invece che un aiuto. Gli stessi Governi hanno approfittato della fiducia dei cittadini. Questa crisi è reale, non è un esagerazione o una pazzia. E quelli che credono in una tecnologia che possa fare il bene delle persone, non devono cedere ora. Dobbiamo dunque farci una domanda fondamentale: in che tipo di mondo vogliamo vivere?». Domanda molto sensata: nei prossimi due anni saranno connessi oltre 20 miliardi di dispositivi, ivi compresi frigoriferi, interruttori per la domotica e qualsiasi altro sensore che dovrebbe rendere la nostra vita un po’ più semplice, ma anche meno protetta. O si fa qualcosa, a livello globale, per arginare l’enorme permeabilità di queste reti, o a breve le nostre informazioni saranno a disposizione di tutti. E chi, come Tim Cook, è a capo di un’azienda che ha sempre cercato di tutelare i propri consumatori, lo sa bene. Ci riuscirà? Le scommesse sono aperte, ma è chiaro che dalle parti di Menlo Park e Mountain View iniziano a fare inconfutabili gesti apotropaici.
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