di James Hansen per Mercoledì di Rochester
L’Italia è un paese fondamentalmente conservatore. Ci vuole del tempo prima che possano radicarsi le novità. Scarseggiano i dati, ma pare evidente che il fenomeno del Work From Home – il ‘lavoro da casa’ istituito durante la pandemia Covid – non incida nel Belpaese come nel mondo anglosassone. Forse è un bene perché, dopo un primo periodo di ‘celebrazione’, del WFH comincia ora a rivelarsi anche il lato meno felice.
Il primo aspetto negativo a emergere è stato, ovviamente, quello della ridotta socializzazione. Per molte persone, l’ufficio – con i rapporti e le amicizie che lì si sviluppano e si mantengono – è forse il punto focale delle relazioni fuori dal nucleo familiare. Quando queste vengono meno, il lavoro diventa ‘fatica’ e non più una fonte di stimoli e di contatti con il resto del mondo. Tuttavia, il senso di isolamento – se è quello il problema – è pressoché impossibile da misurare con precisione e il fenomeno è più raccontato che studiato.
Nel frattempo, una recente ricerca inglese compiuta tracciando le attività di 2mila lavoratori ‘ibridi’ sembrerebbe suggerire che restare in casa tenda anche a far ingrassare. Lo studio, condotto per l’appunto tra dipendenti che lavorano sia in casa che in ufficio, ha dimostrato che le persone si muovevano molto di più nei giorni di presenza in sede, facendo mediamente 8.087 passi giornalieri rispetto ai 4.527 compiuti restando a casa. Inoltre, nelle loro abitazioni i dipendenti tendevano a mangiare molto di più, ‘razziando’ il frigo domestico fino ad assumere mediamente 2.752 calorie giornaliere rispetto alle 1.961 calorie della tipica giornata passata in ufficio.
Occorre però far notare che tutti quei passi in più compiuti da chi lavora fuori casa non dipendono tanto da com’è organizzato l’ambiente di lavoro, bensì dal pendolarismo necessario per arrivarci. Siccome il viaggio da e per l’ufficio è notoriamente la parte meno piacevole della giornata di chi lavora in città, bisogna chiedersi se tanta salute vale tanta pena…