Sembra stia per finire il mantra dell’inflazione transitoria. Il temuto scenario di un aumento dei prezzi duraturo si sta infiltrando nelle previsioni degli operatori del settore, fino ad ora rimasti positivi sulla durata del fenomeno. Ma se l’inflazione si mostrerà resiliente, dovremo aspettarci un aumento generalizzato dei tassi di interesse e prepararci a nuove reazioni degli investitori, inevitabilmente diverse da quelle degli ultimi decenni.
Nelle ultime settimane, già diverse banche centrali – in particolare quelle dei Paesi emergenti ed esportatori di materie prime – hanno iniziato ad aumentare i tassi. Persino la Fed, capofila dei sostenitori dell’inflazione transitoria, ha iniziato a ridurre gli acquisti di asset finanziari, con una prospettiva di aumento dei tassi di riferimento per il prossimo anno. «Va constatato», commenta Frédéric Leroux, membro del Comitato di investimento strategico di Carmignac (nella foto sotto), «che l’aspetto transitorio dell’inflazione statunitense, attualmente superiore al 6%, sta iniziando a essere messo in discussione dai colli di bottiglia in diversi settori di attività (semiconduttori, trasporti, ecc.) e da nuovi atteggiamenti nei confronti del lavoro».
«Grazie ai risparmi accumulati negli ultimi diciotto mesi (che equivalgono al 12% del Pil statunitense), all’apprezzamento dei mercati finanziari e degli immobili e all’esigenza di una migliore qualità di vita, un certo numero di famiglie statunitensi sta valutando il pensionamento anticipato, la cessazione dell’attività di lavoratore dipendente per uno dei suoi componenti o un’occupazione meno vincolante in termini di orari», continua. «Inoltre, dato il numero di offerte di posti di lavoro prossimo ai record storici a condizioni retributive interessanti, i lavoratori dipendenti si trovano in posizione di forza nella trattativa sulle retribuzioni (per la prima volta da decenni)».
Altri due potenziali fattori di inflazione vanno ad aggiungersi alla situazione statunitense. Il primo è il risultato delle misure adottate da alcuni Stati, che hanno distribuito potere d’acquisto aggiuntivo alle famiglie, come nel caso degli assegni erogati dall’Amministrazione Trump per fronteggiare la crisi sanitaria anche a persone con una propensione ai consumi già elevata. Il secondo è invece la conseguenza della transizione energetica a ritmo serrato, che potrebbe innescare l’aumento duraturo dei prezzi del gas e del petrolio, dal momento che diminuiranno gli investimenti nel settore dei combustibili fossili in favore delle energie green, senza tenere conto però che la transizione impiegherà parecchi anni.
«Il margine di errore che le banche centrali possono permettersi è molto limitato», dice Leroux. «L’aumento troppo rapido dei tassi di riferimento innescherebbe un forte rallentamento dell’economia globale, dato l’elevato indebitamento. All’opposto, in caso di interventi troppo morbidi o troppo lenti, che effettivamente gli investitori non paiono prendere in considerazione, l’inflazione potrebbe mantenersi alta per lungo tempo. Con una crescita globale più debole, un’inflazione resiliente avrebbe maggiori conseguenze negative sui mercati finanziari rispetto agli effetti positivi che avrebbe un rallentamento graduale dell’aumento dei prezzi».
Per l’azionario, il messaggio è abbastanza chiaro: nel caso in cui l’inflazione dovesse tornare a diminuire dopo la fine delle carenze attuali, senza un crollo della crescita, i mercati azionari dovrebbero mantenere il loro trend positivo, ancora trainati dai titoli growth ad alta visibilità. «Qualora le banche centrali non riuscissero a tenere la situazione sotto controllo invece», spiega l’economista, «innescando un rallentamento economico più forte del previsto questi stessi titoli growth ad alta visibilità continuerebbero a essere sostenuti dalla loro performance relativa. Sarebbe quindi necessaria una vera e propria recessione affinché a distinguersi fossero i titoli dal profilo più difensivo».
E nel caso di inflazione duratura? «Il periodo maggiormente paragonabile a ciò che potrebbe verificarsi sui mercati azionari è il cosiddetto periodo “Nifty Fifty”, compreso tra la metà degli anni ’60 e l’inizio degli anni ’70», dice Leroux. «Verso il 1965, l’inflazione iniziò a crescere gradualmente, spingendo al rialzo i tassi di interesse senza impedire ai titoli growth di qualità di quel periodo di essere molto ricercati fino a un determinato momento: Digital Equipment, Disney, Eli Lilly, Kodak e General Electric. Questi titoli erano chiamati Nifty Fifty, una cinquantina di aziende “geniali” in grado di adattarsi all’inflazione». Insomma: tenere presente i titoli growth ad alta visibilità, perchè il business model di queste aziende sembra essere in grado di adattarsi a tutti gli scenari attualmente prevedibili.