Si può mettere Internet in una stoffa? Cioè: in un settore industriale maturo, e tradizionalmente anologico, come la moda, in cui la necessità di toccare tessuti, osservare nuance e provare modelli frena perfino lo sviluppo dell’e-commerce – che spazio possono avere l’Internet delle cose e Industry 4.0? Tanto spazio, almeno a giudizio di Giuseppe Miroglio, presidente dell’omonimo gruppo con sede ad Alba che conta tra i suoi dodici marchi alcuni “must have” come Elena Mirò, Motivi e Caractère. Un brand storico dell’industria tessile che ha saputo cogliere le nuove sfide della moderna manifattura attraverso strade diverse eppure convergenti: il Miroglio Innovation Program (MIP), il negozio 4.0, l’investimento in startup innovative che possano offrire all’azienda un valore aggiunto. Tutto questo, sotto la guida di un manager esterno come Hans Hoegstedt, un passato decennale da numero uno di Prysmian e ora amministratore delegato di Miroglio Fashion, la branca più significativa – in termini di fatturato e di personale – del gruppo albese.
A capo di miroglio fashion c’è Hans Hoegstedt, per dieci anni amministratore delegato di Prysmian. Con lui boom di risultati
A riprova che le aziende “familiari” non devono necessariamente affidarsi a persone che portano lo stesso cognome del fondatore, ma che possono guardare a manager esterni. Nell’era Hoegstedt, il fatturato è aumentato del 18% nei primi tre mesi del 2017 e sono stati stanziati investimenti per oltre 40 milioni di euro. Ma, si diceva, la strategia del Gruppo Miroglio segue strade diverse. Prima di tutto, il MIP, che esiste da circa tre anni e ha due aree di azione principali: promuovere l’innovazione interna ed essere una sorta di “antenna” sul mondo esterno, captando i trend del futuro. «Tramite MIP – spiega Giuseppe Miroglio – sono partiti alcuni progetti che sono stati poi sviluppati all’interno dell’azienda, come nel caso del retail 4.0. Il ruolo di MIP sta cambiando: all’inizio aveva un basso livello di sensibilità per l’innovazione, oggi invece si guarda con crescente interesse al “nuovo”. E oggi dobbiamo impegnarci a guardare al “dopodomani”, non più al domani, per essere pronti a cogliere i nuovi trend».
La seconda “gamba” della trasformazione di Miroglio è quella che riguarda il negozio 4.0. Attualmente oltre l’80% del fatturato del Gruppo viene realizzato tramite retail, nei quasi 1.200 negozi monomarca – che equivalgono a oltre 10 chilometri lineari di vetrine. «Dal punto di vista dell’innovazione – aggiunge il presidente esecutivo di Miroglio – a livello industriale la discontinuità tecnologica, per noi, è avvenuta già anni fa con il rinnovamento del parco macchine: crediamo nell’integrazione, non nella completa sostituzione di una tecnologia con un’atra. Per quanto riguarda l’area fashion, invece, l’innovazione è molto meno tangibile, ma più pregnante. Il canale offline è fondamentale, e abbiamo in mente di migliorare l’esperienza dei nostri clienti in negozio. Ovviamente vogliamo offrire anche e-commerce, ma non è questo il core della nostra trasformazione digitale. Abbiamo già un numero pazzesco di dati che ci arriva dalle vendite che facciamo in negozio. La vera sfida è riuscire a tramutarli in un servizio personalizzato per la clientela». È stato stanziato un budget di circa 15 milioni di euro, tramite il progetto “300 300”, per revisionare la rete distributiva di 300 negozi, in un’ottica di maggiore distintività e personalizzazione dei brand, in 300 giorni. Il progetto è stato ultimato nei primi giorni del nuovo anno. A questi investimenti vanno aggiunti altri interventi, più contenuti dal punto di vista dei costi, che riguardano le casse dei punti vendita: con una spesa di 1,6 milioni di euro avverrà la sostituzione su tutta la rete del software, con l’attivazione di nuove modalità di integrazione tra negozi fisici e online. Inoltre, grazie alla tecnologia RFID, i negozi della catena Fiorella Rubino (oltre 170) beneficeranno di una nuova etichetta “intelligente” che consente di semplificare la gestione dei magazzini tramite un monitoraggio elettronico dei singoli capi venduti. Infine, è stato sviluppato il “borsino”, che combina dati quantitativi e sensibilità del personale per richiedere o cedere articoli in funzione delle aspettative di vendita nel singolo negozio.
L’80% del fatturato del gruppo viene realizzato nei 1.200 negozi per la crescita del retail sono stati investiti 15 milioni
La terza leva dello sviluppo sfrutta un’inclinazione personale di Giuseppe Miroglio per il mondo dell’innovazione: si è scelto di puntare su alcune startup nelle quali investire. È il caso di The Color Soup e TailorItaly. Entrambe hanno come obiettivo la personalizzazione di tessuti e modelli. La prima è una piattaforma di e-commerce che ha alla base lo «sviluppo – racconta Miroglio – della tecnologia di stampa digitale, che porta vantaggi significativi come la possibilità di gestire piccoli lotti, portando la stampa tessile da b2b a b2c». La cosa interessante di The Color Soup è che si possono realizzare stampe personalizzate anche a partire da un metro di lunghezza. Per quanto riguarda TailorItaly, invece, la personalizzazione riguarda i capi: 13 pezzi complessivi – tra cui trench, gonne e bluse, – che possono essere modificati a piacere dal cliente per quanto riguarda il collo, le maniche e i profili a contrasto. Il risultato sono circa 800 varianti possibili che vanno da 69 a 285 euro.