Settimana lavorativa corta? Sì, a volte ritornano. E stavolta la proposta, che in Italia si vagheggia da anni, di far timbrare il cartellino solo 4 giorni a settimana e senza rinunciare a una parte dello stipendio, potrebbe essere qualcosa più di uno slogan ad effetto. Intesa Sanpaolo e Lavazza del resto, nei loro uffici stanno già applicando il calendario settimanale ristretto che va lunedì-giovedì. Per ora sono solo due gruppi ma il dibattito e le sperimentazioni anche in Europa fioriscono come mai forse in passato.
Perché? Perché a causa della guerra in Ucraina bisogna risparmiare energia a tutti i costi e poi perché la pandemia ha cambiato radicalmente i vecchi paradigmi del mondo del lavoro. Prendiamo il caso della Gran Bretagna dove, in seguito a un progetto sperimentale sulla settimana corta, 18 aziende sulle 60 partecipanti hanno scelto di portare avanti questa vecchia-nuova modalità trasformandola in una pratica effettiva.
Settimana corta, Intesa Sanpaolo e Lavazza ci sono
Vediamo come si sono organizzati invece le nostre due realtà nelle quali è stato introdotto il modello. Intesa Sanpaolo, prima grande azienda a farlo in Italia, ha già riorganizzo il lavoro concedendo la settimana lavorativa corta da 4 giorni e 9 ore lavorative (36 ore in tutto) ai suoi 74 mila dipendenti, a parità di retribuzione, su base volontaria e compatibilmente con le esigenze tecniche e produttive.
Lavazza lo ha fatto a dicembre 2022 rivoluzionando i contratti dei dipendenti nei quali sono stati inseriti, oltre alla settimana corta, un bonus di 700 euro, per far fronte al caro vita di questi tempi ed una serie di agevolazioni nell’orario di lavoro in base alle necessità del lavoratore, come ad esempio 10 giorni al mese in smart working e il “venerdì breve” che permette ai dipendenti di uscire prima dall’ufficio tra maggio a settembre.
Dove si lavora di più in Europa?
Ma al di là di queste due esempi virtuosi, il resto della situazione è sconfortante. Nel nostro Paese ci sono 2 milioni di lavoratori (cioè il 9,4% dei lavoratori totali) che si fanno 50 ore a settimana contro le canoniche per un totale di 8 ore al giorno per 5 giorno.
E il rapporto Eurostat dice che anche in giro per l’Europa le situazioni, complessivamente, non siano più idilliache. Solo greci e francesi sono più “spremuti” di noi: in Grecia i lavoratori che fanno più ore di quanto dovrebbero sono infatti il 12,6% mentre Oltralpe gli stacanovisti rappresentano una fetta del 10,2% sul totale. I più “scialli”, in questa speciale classifica dei tartassati sul lavoro, sono i bulgari: solo lo 0,7% dei lavoratori in Bulgaria sgobba infatti più del dovuto.
Rispetto all’Italia però, negli altri paesi dell’Eurozona il fenomeno sembra riguardare molto di più gli autonomi (30%) che gli impiegati (4%).
36 ore settimanali? Il ministro Urso: parliamone
Ecco allora che, approfittando delle cifre che circolano e del dibattito che si è sviluppato in Europa, anche da noi sindacati e opposizioni si sono rifatti sotto con il Governo. Trovando sponda, vi è da dire, nel ministro delle Imprese e del Made in Italy, Adolfo Urso che già qualche mese fa avevo aveva detto di essere «disposto a riflettere partendo dalla realtà e mettendo il tutto in sintonia con una saggia politica industriale con l’obiettivo di aumentare produttività e occupazione».
«Siamo dispostissimi a sederci e a ragionare, ma non in maniera ideologica, o vanno in crisi l’occupabilità e l’occupazione in Italia» gli ha fatto eco il presidente di Confindustria, Carlo Bonomi.
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