A volte capita che ci sia una situazione contingente che frena il mercato. È raro, invece, che ce ne siano una mezza dozzina tutte insieme. Ma è quello che sta avvenendo nell’automotive: nei primi tre mesi dell’anno abbiamo perso circa un quarto (-24,4%) delle immatricolazioni rispetto allo scorso anno e, addirittura, oltre un terzo (-36,5%) delle vendite rispetto al 2019, l’ultimo anno prima dell’inizio della pandemia. In generale, il combinato disposto tra le sofferenze della supply chain e la carenza di materie prime ha rallentato e, spesso, fermato le catene produttive. L’assenza di prodotti ha allungato a dismisura i tempi di consegna delle auto nuove che superano in quasi tutti i casi i nove mesi. L’inflazione e la crescita dei prezzi delle forniture hanno finito, da una parte, per alzare i listini delle auto e, dall’altra, hanno comunque reso difficoltoso stabilire il costo dei prodotti venduti oggi che verranno consegnati tra molti mesi.

Come se non bastasse tutto ciò per rendere difficile la vita dei manager del settore, l’automotive è alle prese con la transizione ecologica, che costringe i produttori a spingere le vendite di auto a batteria che hanno prezzi decisamente più alti rispetto a quelle con un motore termico, ma margini di guadagno inferiori. Inoltre, il passaggio ai veicoli elettrici è una necessità per le case automobilistiche che rischiano multe miliardarie se si superano i limiti imposti dall’Unione Europea, ma non è stato, ancora, completamente recepito dai clienti a causa della ridotta autonomia e dei lunghi tempi di ricarica delle auto a batteria.

Riassumendo: catena di fornitura devastata, prezzi delle materie prime in crescita, catene di montaggio a singhiozzo con consegne allungate, costo delle auto imponderabile, transizione ecologica forzata, ma non del tutto supportata dai clienti e, dulcis in fundo gli incentivi. Questi ultimi hanno una caratteristica ben nota: prima di essere concessi drenano le vendite, le concentrano nel periodo in cui sono in vigore e ributtano il mercato a terra quando non ci sono più. Dopo un forte ritardo dovuto, pare, alle frizioni tra i vari ministeri sui criteri per accedere agli incentivi per l’acquisto di auto nuove è arrivato provvedimento attuativo che indica come saranno assegnati i 650 milioni a sostegno del mondo dell’auto per il 2022. I criteri sono simili a quelli stabiliti lo scorso anno, ma c’è anche una brutta novità: dagli incentivi sono escluse, tranne poche eccezioni, le persone giuridiche, dunque le aziende. Sono solo previsti contributi alle piccole e medie imprese ma esclusivamente per l’acquisto di veicoli commerciali nuovi elettrici. Il bonus è erogato solo se si manda a demolire il vecchio furgone «under Euro 4» e, a seconda delle tonnellate del mezzo sono previsti quattro premi: 4mila, 6mila, 12mila e 14mila euro.

«L’esclusione delle imprese» ha commentato Andrea Cardinali, direttore generale dell’Unrae, l’associazione che riunisce le case automobilistiche straniere in Italia, «è inedita e colpisce duramente un comparto che da solo rappresenta il 37,5% degli acquisti. Una percentuale più bassa di quella di altri Paesi, come la Germania che arriva al 65%».

L’assenza degli incentivi per le auto aziendali, pare dovuta a problemi di copertura finanziaria, ha coalizzato tutti gli stakeholder del settore, dai costruttori, ai concessionari, agli autonoleggi, che ora puntano a una contropartita fiscale aumentando la detraibilità Iva, in Italia ancora al 40%, rispetto al 100% applicato nell’Ue. La richiesta congiunta è questa: 100% di detraibilità per la fascia 0-20 grammi/km di CO2; 80% (21-60); 50% (61-135) e 40% (oltre 135 grammi/km).