Se lo stato pagatore soffoca (e perseguita) i suoi fornitori

Venticinquemila imprese costrette a chiudere tra il 2009 e il 2016 per colpa dei ritardi dello Stato nei pagamenti. È la sconcertante stima di Banca Ifis e Confederazione Cifa, che al di là dell’esattezza della cifra indica chiaramente come il caso di Sergio Bramini, l’imprenditore fallito e sfrattato insieme a figli e nipoti nonostante vantasse oltre 4milioni di credito nei confronti della PA, non sia che la metaforica punta di un iceberg. Bramini è stato nominato consulente dal neo ministro del Lavoro Luigi Di Maio, ha affermato di esserne felice ma ha aggiunto: «giusto ieri parlavo con un’altra persona finita nella mia situazione, con lo sgombero da casa, e diceva di voler tentare il suicidio. ‘Non azzardarti a farlo’, gli ho detto, ‘bisogna lottare’. Sto cercando di fargli trovare un’abitazione, è rimasto pure senza macchina e campa con i viveri della Caritas». Al di là dei singoli casi, che la situazione sia ben lungi dall’essere risolta lo confermano i dati della Cgia di Mestre, estrapolati dall’indagine “European Payment Report 2018” presentata da Intrum Justitia lo scorso 28 maggio, secondo cui dopo alcuni anni di progressiva diminuzione nel 2018 i tempi medi di pagamento della Pubblica Amministrazione sono tornati ad aumentare (vedi la tabella). Da 95 giorni a partire dall’emissione della fattura, infatti, si è saliti a 104 giorni, contro i 30 stabiliti dalla normativa europea che possono salire a 60 per alcune tipologie di forniture, come quelle sanitarie. Siamo così riusciti nell’impresa di strappare la maglia nera dei pagamenti statali più lunghi d’Europa alla Grecia, scesa in un anno da 103 a 73 giorni, mentre anche il Portogallo è passato da 95 a 86; la media europea è di 41 giorni. Qualche elemento di ottimismo, si fa per dire, viene dalle ultime stime di Banca Ifis, secondo cui nel 2017 i pagamenti in ritardo della PA ammontavano a “soli” 31 miliardi di euro, il 6% in meno rispetto al 2016. Ma a pagare in ritardo è il 62% degli enti pubblici, con picchi di 310 giorni per i comuni e di 543 (!) per le province.

Siamo riusciti nell’impresa di strappare la maglia nera dei pagamenti statali più lunghi d’Europa alla Grecia

Al perdurare dei ritardi nei pagamenti da parte della PA si aggiunge il fatto che le imprese subiscono procedure fallimentari scandite da una tempistica perentoria, che non ammette deroga o eccezione: nascono così uno, cento, mille casi Bramini. «Auspichiamo un tempestivo intervento delle istituzioni – dice Andrea Cafà presidente di Cifa Italia, associazione datoriale autonoma dei settori commercio, artigianato, piccola manifattura, servizi, turismo – affinché si adoperino per un mirato provvedimento legislativo atto a normare le ipotesi di crisi aziendale indotta dal settore pubblico, che possa scongiurare altri “casi Bramini”, cui va tutta la nostra solidarietà». Cifa propone una nuova procedura che permetta di compensare o cedere i crediti con la P.A.; adottare provvedimenti sospensivi o dilatori che possano scongiurare la dichiarazione di fallimento; assegnare un termine tassativo inderogabile entro il quale la P.A. debba provvedere al pagamento dei debiti contratti. «Sono tutti interventi necessari per fornire un’adeguata risposta alla tanto invocata riforma in materia fallimentare – aggiunge Cafà – che andrebbero ad aggiungersi alle disposizioni che il nostro ordinamento ha già attivato in termini di prerogative di protezione e tutela dell’attività imprenditoriale». Tra queste figura la legge 3 del 2012, nota come legge salva suicidi, che permette agli imprenditori in difficoltà di ottenere dilazioni e ristrutturazioni dei debiti. Un’altra norma di particolare importanza è quella che prevede la possibilità di certificare i crediti vantati nei confronti della Pubblica Amministrazione, introdotta a partire dal 2014. La certificazione vale come garanzia dello Stato e apre la possibilità della cessione del credito a banche e intermediari finanziari abilitati. Una novità che ha effettivamente sortito effetti positivi, ma è ancora lungi dall’essere utilizzata al pieno delle sue potenzialità. Secondo Banca Ifis, infatti, dei 158 miliardi di crediti verso la PA si può stimare che sia stata presentata richiesta di certificazione solamente per una decina di miliardi. «Queste misure sono poco conosciute, specie al sud – osserva il presidente di Cifa – di recente un imprenditore mi ha detto: l’abbiamo scoperto ma non lo sa nessuno, e noi certo non lo diffondiamo, se no poi siamo in troppi…». I servizi di factoring a cui è possibile accedere dopo aver certificato i crediti, come per esempio TiAnticipo di Banca Ifis e Sace Fct della società del gruppo CDP, permettono alle imprese di incassare in tempi rapidi, ma non sono certo gratuiti. «Un costo che si aggira attorno al 5% a fronte di un pagamento in tempi brevi potrebbe anche non essere eccessivo – puntualizza Cafà – anche se è paradossale se poi a incassare è una società pubblica, visto che il ritardo è colpa di un altro ente pubblico…». Un altro paradosso è il fatto che l’apparente risparmio della Pa dovuto al rallentamento dei pagamenti ha in realtà un effetto boomerang: aumentano gli oneri a carico delle amministrazioni a causa di interessi di mora e spese di contenzioso, e le imprese si vedono costrette a scaricare il costo dei ritardi aumentando i prezzi finali di opere e servizi, con una ricaduta negativa per le amministrazioni virtuose. Per risolvere il problema alla fonte, basterebbe pagare nei tempi giusti…

I tempi di pagamento della PA alle imprese in Europa (numero di giorni e variazione)