GeicoTaikisha si aggiudica il premio Manufacturing Leadership Awards 2021

Che cos’hanno in comune Italia e Iran? A parte i colori della bandiera (ma una è a strisce verticali, l’altra orizzontali) e un patrimonio artistico tra i più importanti al mondo, ben poco. Eppure è proprio la commistione tra questi due Paesi che ha portato alla creazione di una delle più importanti eccellenze nel comparto automotive: la Geico di Cinisello Balsamo, in provincia di Milano, diventata rapidamente uno dei player più importanti nella verniciatura delle scocche. Fondata negli anni ’60 da Giuseppe (Pippo) Neri, quest’impresa passa nelle mani di suo genero, Ali Reza Arabnia – che già dagli anni ’70 era entrato in Geico – alla morte del patron nel 1994. E qui la musica cambia, diventa più ritmata e sincopata. 1997: Comau, azienda che fa parte di Fca (ancora per poco, a sentire le ultime voci che provengono dai mercati) rileva il 51% delle quote del portafoglio di Geico. Insieme potrebbero creare il più importante player del mondo: robot e impianti di verniciatura. Sarebbe troppo bello. E infatti non è stato e non sarà. 2006: la famiglia Arabnia rileva nuovamente l’intero capitale azionario della Geico, dopo l’insediamento di Sergio Marchionne, che decide di cedere tutti gli asset non-core. L’imprenditore italiano riesce a rilanciare l’azienda diventando uno dei leader mondiali dell’industria impiantistica del settore auto. 2011: viene siglata l’alleanza con Taikisha, il colosso giapponese specializzato nella realizzazione di impianti per la verniciatura delle scocche automobilistiche. Il 49% delle azioni rimane in possesso della famiglia Arabnia. Oggi in Geico è entrato anche Daryush, figlio di Ali e della moglie Laura, con il ruolo di Coo.

Quello dell’auto è un settore ciclico che vive di picchi di investimento e di robuste frenate. Così, quando gli ordini mancano, si guarda avanti

«Per noi – ci racconta nei suoi uffici a Cinisello – il fatto che il mercato automotive stia rallentando è una normalità, è un sistema ciclico che vive di picchi di investimento e poi brusche frenate. Dal 2008, al tempo della grande crisi economico-finanziaria, abbiamo deciso che nei momenti di “stanca” dovevamo sfruttare la cassa accumulata in precedenza e avviare progetti di ricerca e sviluppo, formazione e altre iniziative che ci consentono di “seminare” per il futuro. Fino ad aprile 2009, ad esempio, erano spariti tutti i clienti e gli ordini in essere venivano annullati: eravamo in una brutta situazione ma abbiamo deciso per un azzardo». E l’azzardo paga: con una cassa che permetteva a Geico di sopravvivere per due anni senza commesse, si è deciso di impiegare l’equivalente di sei mesi di vita per creare un centro di formazione. Il gioco si ripete ciclicamente: «Non saprei dire quanto investiamo in ricerca e sviluppo – confessa Arabnia – perché nei periodi di massimo carico lavorativo scendiamo a 3-4 milioni all’anno. Quando invece gli ordini scemano possiamo arrivare tranquillamente a 10-15».

E questo che momento è per Geico? Positivo, sicuramente, per due motivi: il primo è il cambio di regole sulle emissioni, il secondo la partnership con Taikisha. «Ogni volta che cambiano le norme sugli agenti inquinanti – conclude il Coo dell’azienda – siamo tranquilli che ci saranno più investimenti. I governi lasciano sempre qualche anno per adeguarsi, ma noi partiamo subito con nuovi progetti perché gli impianti di verniciatura sono grandi utilizzatori di energia e produttori di inquinamento atmosferico. E anche le nuove automobili alimentate a energia elettrica prevedono nuovi stabilimenti. Abbiamo una partnership con Mercedes per la realizzazione degli impianti di verniciatura nelle fabbriche dove oggi viene prodotta la Smart, la cui realizzazione, dopo l’ingresso di Geely nel capitale di Stoccarda, verrà spostata in Cina». Quanto a Taikisha, la fusione con il gigante giapponese che fa impianti di aria condizionata – nessuna anomalia: sono moltissimi i punti in comune con la verniciatura – ha prodotto un colosso che fattura oltre 2 miliardi di dollari, con più di 4.000 dipendenti nel mondo. Insomma, come si dice nella lingua persiana: Khali Khoob, molto bene.