Il 19 marzo il sito di ABC Australia ha pubblicato la notizia del ritrovamento, al largo della città di Mabini nelle Filippine, di un balena di 4,7 metri con 40 chili di plastica nella pancia. Nel suo stomaco c’era una quantità mai vista di buste e sacchi di plastica, che hanno impedito al cetaceo di mangiare, provocandone la morte per choc gastrico. «È disgustoso e straziante», ha detto Darrell Blatchley, direttore del D’Bone Collector Museum. Negli ultimi dieci anni i ricercatori di questo museo hanno studiato le carcasse di 61 cetacei ritrovati nella zona: di questi 57 sono morti per l’ingestione di plastica e immondizia. Sempre il 19 marzo il Corriere della Sera ha sintetizzato i risultati di una ricerca condotta dall’Università di Ancona. La scoperta è che nei canyon sottomarini del Mediterraneo si stanno trovando degli enormi accumuli di microplastiche, con anche decine di milioni di particelle per metro quadro. Tracce di microplastiche sono state trovate in tutti i nematodi analizzati, cioé quei piccoli vermi che si agitano sui fondali e sono alla base della rete trofica, in altre parole della catena alimentare marina. E se i vermi contengono frammenti di plastica, anche i pesci che se ne cibano ne conteranno, con conseguenze ancora tutte da studiare sulla nostra salute.
Il ricercatore Darrel Blatchley: «I fondali più profondi sono delle discariche in cui si è raccolta tutta la plastica gettata in mare nel corso dei decenni. L’inquinamento non è solo in superficie»
«A lungo abbiamo pensato che la spazzatura che galleggia fosse il segno più evidente dell’inquinamento del Mediterraneo» hanno osservato i ricercatori: «Ma ora scopriamo che i fondali più profondi sono delle discariche in cui si è raccolta tutta la plastica gettata in mare nel corso di decenni». Attualmente circa l’8% del petrolio estratto al mondo viene utilizzato per fare plastica e le proiezioni stimano che questa percentuale crescerà a dismisura nei prossimi anni. Si sta parlando di 335 milioni di tonnellate di cui buona parte non vengono riciclate. In Europa se ne producono 60 milioni in un settore che vale 350 miliardi di euro e impiega circa 1,5 milioni di persone. Cifre da capogiro, ma non ci sono quasi più zone degli oceani senza plastica, che ormai sta entrando nella catena alimentare con conseguenze ancora non note. Per questa ragione Il Consiglio e il Parlamento europeo hanno deciso che a partire dal 2021 saranno banditi dall’Ue alcuni prodotti in plastica usa e getta (posate, bicchieri, contenitori, etc.) per i quali esistono alternative biodegradabili e che entro il 2030 tutti gli imballaggi siano riciclabili Qui i principi dell’economia circolare sono fondamentali. In primis il riuso ovvero usare contenitori non usa e getta (borracce di alluminio e non bottigliette per l’acqua ad esempio), sviluppare le strutture per il riciclo anche perché attualmente oltre il 50% della plastica viene trattata fuori dall’EU e la Cina (che in passato ne trattava molta) ha bloccato le importazioni di plastica. Ma va anche migliorata la qualità e sostenuto il prezzo visto che poco più del 6% della plastica in commercio è riciclata per problemi di qualità, ma anche di costo. La terza leva quella del passaggio a materiali biodegradabili può essere fonte di grandi opportunità per start-up e giovani biotecnologi e bioingegneri innovativi ed in Italia siamo all’avanguardia. Linee molto interessati di ricerca vengono dall’utilizzo di prodotti di scarto delle lavorazioni alimentari quali il progetto Biocosì dell’Enea che sfrutta le acque reflue della filiera casearia, dagli sviluppi delle nanofibre vegetali per dare al cartone le stesse proprietà del polistirolo per uso alimentare e da molte altre iniziative in Europa e nel mondo. La plastica ha cambiato il mondo, spetta a noi cambiare la plastica e portare questo settore verso la sostenibilità.