Gabriele Troilo

Le persone con più di 65 anni in Italia sono 14 milioni ed entro la metà di questo secolo saranno 19/20 milioni. La ricchezza nazionale è concentrata nelle loro mani: casa di proprietà, risparmi, beni mobili e immobili, redditi da pensione ancora calcolati con il sistema retributivo. Un terzo di loro sostiene ancora economicamente le famiglie dei figli.

A guardarli muoversi nella società moderna non è difficile notare come invecchino più lentamente rispetto alle generazioni precedenti: sono in buona salute, quando si può amano viaggiare, vanno al ristorante e incontrano gli amici, frequentano teatri e mostre, sono ancora ingaggiati dalla vita e anche i più anziani tra loro, in due anni di distanziamento sociale, hanno imparato a usare Whatsapp, Facebook e Zoom, a fare la spesa online e anche a farsi la Spid.

Eppure, guardando a chi si rivolge il marketing, per non parlare della pubblicità, sembra che i senior in Italia non esistano e, se esistono, siano tutti irrilevanti sul piano economico. Invece, 200 miliardi di euro è la portata della silver economy in un Paese dove il marketing ignora i senior. Come si spiega?

Isomorfismo demografico

Qual è l’opinione è del prof. Gabriele Troilo, che insegna Marketing del settore creativo all’Università Bocconi e Marketing strategico alla Scuola di direzione aziendale dell’ateneo milanese? Perché il marketing continua a rivolgersi ai mitici millennials, quando il potere d’acquisto e i numeri per crescere stanno da un’altra parte, in quella più agèe della popolazione, in continuo aumento nel nostro Paese? «Le persone di marketing, mediamente più giovani delle altre funzioni aziendali, tendono a riflettersi nel mercato. O meglio, a vedere il mercato come il riflesso di se stessi, che è una delle malattie più gravi nelle quali il marketing possa incorrere. Un bias molto pericoloso. Oppure pensano che i giovani siano più aperti all’innovazione. In realtà, quella che viene scambiata come propensione al nuovo è assenza di memoria e di esperienza. Il consumatore più avanti negli anni è altrettanto propenso al nuovo, solo che le sue scelte di consumo sono frutto di memoria ed esperienza, quindi più radicate. E poi c’è un motivo di ordine logico, anche se mal interpretato: il marketing è per definizione la funzione aziendale che dovrebbe anticipare il mercato guardando al domani, ruolo che di fatto interpreta mirando a prendersi i consumatori futuri fin da giovani. Cresceranno con noi, pensano. Senza però rendersi conto che così facendo stanno ignorano i consumatori attuali, dotati certamente di maggiore potere d’acquisto e più numerosi, oltre che in continua crescita. Non ultimo, occuparsi dei giovani, rivolgersi ai giovani, comunicare ai giovani “fa più figo”».

Tradotto: siamo tutt’ora vittime di una aspirazionalità primaria di matrice anagrafica e marketing e comunicazione a braccetto non fanno altro che assecondarla. Ma è davvero così? Davvero i senior vogliono identificarsi in persone più giovani? Oppure dovremmo imparare a parlare loro con un linguaggio più consono? Franco Moscetti, alla guida di Amplifon dal 2004 al 2016, ha la sua idea. «Io non sono affatto convinto che alle persone anziane di oggi si debba comunicare con un linguaggio specifico. Equivarrebbe a dar loro dell’anziano, non piace a nessuno. Vale per me, per tutti i miei amici settantenni e vale per tutta la mia generazione. Non vogliamo essere considerati una categoria a parte e quando percepiamo di essere destinatari di un linguaggio caratterizzato come “per anziani”, ci sentiamo ghettizzati. Oggi si invecchia molto più lentamente e i settantenni hanno le stesse ambizioni dei cinquantenni, talvolta ancora le stesse passioni. Anche il linguaggio e il modo di vestire sono simili a quelli di persone più giovani e le cose che ci piacciono e che ci fanno appassionare le viviamo allo stesso modo. I senior vogliono una comunicazione che prescinda dall’età, perché a nessuno piace essere discriminato su base anagrafica. L’anzianità è un modo di vivere e sentire la vita. Finché non ce l’hai, finché non ne soffri, sei ancora giovane, qualunque sia la tua età, e come tale vuoi essere considerato. Inoltre, bisogna ammetterlo, è anche un fattore di aspirazionalità. Anche se la macchina di lusso o l’orologio premium sono comprati da persone senior, non voglio che alla guida dell’auto ci sia un anziano o che il polso che vedo nella pubblicità sia quello di un vecchio».

E quando non si parla di macchine di lusso e orologi pregiati ma di prodotti che sono per definizione per anziani, come ci si deve comportare? È il caso di Amplifon, per definizione una marca che non sarebbe credibile se mostrasse dei giovani nella sua comunicazione, per quanto aspirazionali. «In Amplifon abbiamo fatto un duro lavoro, non sempre compreso da tutti, per far uscire il prodotto apparecchio acustico dal dominio della prescrizione medica e farlo entrare in quello di una scelta per migliorare la qualità della propria vita. Da risoluzione di un problema medico a opzione per godersi di più la vita. Così i senior che si vedono nella pubblicità Amplifon sono persone attive, proattive. È molto più sentito il problema di perdersi qualcosa della vita, quando ancora ci tieni».

Riassumendo, quando si parla di prodotti non specifici per anziani, sebbene siano spesso consumati o acquistati principalmente dai senior, il consumatore senior preferisce identificarsi con persone più giovani, cioè come in realtà si sente. Quando si tratta invece di prodotti per senior, allora bisogna rappresentare questo pubblico come è realmente, non secondo il vecchio cliché dell’anziano fragile: è di alcuni giorni fa una sequenza fotografica di Al Pacino, 82 anni, che passeggia in un parco di Los Angeles accennando a passi di ballo al ritmo dei suoi auricolari.

«Il marketing tende ancora a dividere il mercato, e il pubblico di riferimento, in base all’età anagrafica», continua il prof. Troilo, «mentre l’anzianità è un modo di sentire. Una volta il senior che si vestiva e si comportava in modo diverso dal suo inquadramento anagrafico era considerato talmente fuori tempo da essere persino fuori luogo. Oggi, grazie anche a una migliore distribuzione del reddito che permette alle persone di esprimersi anche attraverso consumi che esulano dalla stretta necessità, i perennials possono rappresentare la resilienza della loro curiosità, della loro apertura mentale, della loro voglia di fare, senza essere giudicati. O lo capisci, o perdi il treno. Serve formazione. Purtroppo le aziende sono quasi sempre inconsapevoli dei trend demografici. Si fanno un sacco di ricerche su atteggiamenti e comportamenti dei consumatori, ma non sanno a quante persone stanno parlando, non sanno se sono in crescita o in decrescita. Per questo da qualche anno tutti i nostri corsi di direzione aziendale cominciano con un modulo dedicato alla demografia. Si comincia a capire dai numeri. Poi, una volta sensibilizzati sulle dimensioni del mercato, basta guardarsi attorno, vedere come si comportano i senior intorno a noi, e allora si forma quella consapevolezza che oggi fa difetto. La condivisione di abitudini, atteggiamenti, linguaggi, tematiche, che si è prodotta negli ultimi 30 anni tra persone mature e persone giovani è qualcosa che i più anziani di noi non hanno conosciuto quando erano giovani. È ciò che permette ai cinquantenni di oggi di avere a cena i propri amici e i rispettivi figli, finalmente sdoganati dalla reclusione al “tavolo dei ragazzi”. Così i giovani stabiliscono un rapporto con le generazioni che li hanno preceduti e i più anziani rimangono ingaggiati dalla vita e dall’evoluzione di linguaggi e costumi. Una bella cosa, per tutti».