Sulle colline dell’aretino, in una frazione del paese di San Sepolcro, c’è una fattoria dove la biodiversità è un valore primario, dove il 100% dell’energia utilizzata è certificata “verde”, dove l’85% dei rifiuti viene avviato ad attività di recupero, gli ogm sono banditi e le 67 specie diverse di piante officinali vengono coltivate rigorosamente con metodo biologico, senza fertilizzanti né fitofarmaci di sintesi chimica. Il nome della frazione deriva da “Abiga”, l’antico nome dialettale toscano del Camepizio un’erba amarissima con cui si preparavano decotti contro le febbri intermittenti, i reumatismi, l’artrite. Una sorta di vocazione, quella della frazione, per l’azienda agricola che ne porta il nome: Aboca.
Aboca è il nome della frazione in cui si trova l’azienda agricola e deriva da “abiga”, l’antico nome del camepizio, un’erba officinale
Nata 40 anni fa con l’obiettivo di riportare le sostanze naturali al centro della terapia dell’uomo, oggi è un colosso nella ricerca, nello sviluppo, nella produzione e nella commercializzazione di dispositivi medici e integratori alimentari a base di complessi molecolari 100% naturali, con particolare focus sulle esigenze legate alle aree respiratorie, gastrointestinali e del metabolismo (con 68 linee di prodotti, 15 forme farmaceutiche per una risposta completa a 62 esigenze di salute). Con una presenza nei mercati di 14 paesi oltreché in Italia, con 5 società (Spagna, Polonia, Usa, Germania e Belgio), una stabile organizzazione in Francia e 8 distributori (Israele, Romania, Taiwan, Azerbaijan, Bulgaria, Grecia, Malta, Portogallo). A fondarla, nel 1978, Valentino Mercati, classe 1939, che oggi non solo è il presidente, ma è pure Commendatore dell’Ordine al Merito della Repubblica Italiana, Cavaliere dell’Ordine dei Cavalieri del Santo Sepolcro, accademico del Nobile Collegio Chimico Farmaceutico di Roma, Cavaliere del Lavoro. Eppure, se gli si chiede quale sia il titolo che preferisce, risponde convinto: «Dottore».
Perché, “dottor” Mercati?
Perché quel “dottore” significa che sono stato premiato sul campo – con la laurea ad honorem del Polo Fibonacci di Pisa in Biotecnologie vegetali e microbiche, ndr – Il titolo di commendatore, che restituisce la capacità economica, o quello di cavaliere, sono le classiche patacche che ci mettono al petto. Ma la laurea honoris causa è un riconoscimento culturale che mi gratifica enormemente.
Ed essere alla guida di un’azienda che ha un fatturato consolidato di oltre 215 milioni di euro, che nell’ultimo anno è cresciuta dell’11,7%, che ha un ebitda pari a 31 milioni e in meno di dieci anni è passata da 300 a più di 1.425 dipendenti, quanto la gratifica?
Meno dell’essere diventato “dottore”, perché imprenditore lo sono sempre stato: a 14 anni lavoravo nell’officina del mi’ babbo e a 16 pagavo tre dipendenti. Sono partito facendo il meccanico, dopo la guerra, quando il lavoro minorile non solo non era vietato, ma era dovuto, perché c’era un’Italia da ricostruire. Parliamo di un mondo molto diverso da quello di oggi.
E quello del ’78, quando è nato il progetto di Aboca, che mondo era?
Un altro mondo, un mondo in cui lavoravo in tutta Italia, gestivo la concessionaria più importante del marchio Alfa Romeo in Centro Italia, a Perugia, vendevo auto nuove, usate, d’epoca e anche veicoli commerciali Scania.
Un radicale cambio di vita.
Era il 1975. Come rifugio per i fine settimana mi comprai questa villa in campagna. Me la potevo permettere. Era una fattoria magnifica, con anche la piscina, i cavalli. E 300 ettari di terreno da caccia, attività che io ho sempre odiato. Sicchè di questi 300 ettari di collina e pascoli non si sapeva cosa farne. In tre anni non siamo riusciti a venderli. Nel frattempo mi ero stufato del mio lavoro.
E arriviamo al 1978.
Lessi sul Corriere della Sera la storia di Maurice Messegué, l’erborista famoso per i centri benessere e i laboratori di fitoterapia. Io m’ero stufato di gestire le mie imprese e mi dissi: “Perché no?”.
Alla base dell’impegno di aboca c’è la filosofia dell’alternativa, per offrire una scelta diversa rispetto alle sostanze artificiali
Le è andata bene.
Però poteva anche andare in maniera diversa. C’è stato un niente, solo un po’ di fortuna che mi aiutato nel momento giusto. Ma avrei potuto anche essere additato come “quel bischerino che ha buttato soldi alle ortiche”.
Beh, lo ha fatto, letteralmente. Solo che oltre alle ortiche c’erano anche sambuco, salvia, elicriso, rusco, iperico, echinacea…
Coltiviamo 67 piante officinali nei 1.750 ettari di terreno della nostra fattoria.
Fattoria?
Certo: Aboca è un’azienda agricola, non una fabbrica. E tutti i quadri e i dirigenti sono fattori. Siamo un’azienda agricola che nei propri laboratori studia le sue materie prime per curarci come l’uomo fa da milioni di anni: con processi naturali e non artificiali. Anche se lo facciamo in modo scientifico, con la nostra piattaforma Evidence-based Natural. Investiamo in Ricerca e Sviluppo più del 7% del nostro fatturato annuo e impegniamo oltre 100 ricercatori e abbiamo sviluppato un know-how che, fra depositi e concessioni, ricade in 32 famiglie brevettuali nazionali e internazionali.
È la filosofia dell’alternativa.
La stessa di Leonardo Da Vinci: è stato il primo a mettere in guardia dall’artificialità del progresso. Qualsiasi sostanza artificiale modifica le funzioni fisiologiche e quindi il sistema immunitario e il genere umano. Ben vengano le cure artificiali, ma preferisco calmare la tosse del bambino mantenendo il metabolismo del creato. È una questione di buonsenso. Eppure anche per quanto riguarda i pesticidi, anche se è dimostrato che alterano il sistema immunitario e l’informazione genetica che dai vegetali passa agli animali, ogni anno ne aumenta l’impiego. È un’assurdità, perché la natura deciderà quali organismi viventi “silenziare” perché non accetta quel messaggio genetico alterato.
Con Aboca lei è stato un precursore di un approccio che oggi viene considerato molto sensato.
Ho voluto posizionarla come un’arca di Noè per salvare gli ultimi cento della mia progenie.
A proposito: quanti siete, in famiglia?
In otto: ho due figli e tre nipoti. Oggi il 100% di Aboca è dei miei figli, ma ancora mi riservo la guida per vedere che non vadano fuori strada…
Recentemente Aboca è diventata azienda benefit: una nuova forma societaria che sottolinea l’impegno sul fronte del welfare a 360 gradi
Una strada costellata di successi.
È merito della condivisione della medesima filosofia: senza sapere da dove si viene, non possiamo sapere dove si va. Il ritorno è più alto quando si investe sulla condivisione.
Cosa avrebbe voluto fare da grande?
Il ricercatore. Così oggi mi trovo a fare didattica, a insegnare agli altri quello in cui credo, a condividere un modello di business basato sul giusto profitto e non sull’accumulazione. D’altronde sono nato come imprenditore nell’epoca di Olivetti, il mio modello è l’imprenditoria illuminata, la responsabilità sociale.
Ecco perché recentemente ha scelto per Aboca la forma societaria di “benefit”.
Oggi essere un’azienda benefit in Italia diventa importante, dà una legittimazione di posizionamento, anche fiscale ed economico. Lo avevamo già fatto con le farmacie – Nel gennaio 2016 Aboca ha acquisito le farmacie fiorentine Afam, ndr – portando i farmacisti non più solo a vendere, ma a soddisfare un bisogno. Il farmaco funziona meglio se lo accompagni a un sorriso. Si pensava non fosse possibile far sorridere 180 dipendenti comunali. Lo abbiamo fatto e nel 2018 il fatturato è stato di oltre 33 milioni di euro con una crescita del +4,8%. È bastato un sorriso.